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27 Luglio 2023
14:00

“Ci negano l’affido perché gay”: la storia di Enrico e Giacomo. La Presidente di Affidiamoci: “Pregiudizio istituzionale”

Enrico, 48, e Giacomo, 52, da due anni sono in attesa di essere scelti per l'affido di un minore. Nonostante i corsi di formazione seguiti e il parere positivo di psicologi e assistenti sociali, quel figlio affidatario non arriva mai. La Presidente di Affidiamoci: "L'affido è aperto a chiunque, ma di fatto in pochi accettano gli abbinamenti con single e coppie gay"

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“Ci negano l’affido perché gay”: la storia di Enrico e Giacomo. La Presidente di Affidiamoci: “Pregiudizio istituzionale”
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Enrico e Giacomo hanno 48 e 52 anni. Sono sposati da 6 anni e fidanzati da 28. Gestiscono insieme un negozio e appartamenti per turisti nel Sud della Sardegna, tra Cagliari e Sant’Antioco, dove si sono trasferiti definitivamente da maggio, quando hanno lasciato i monti emiliani. Da due anni sono in lista d’attesa come genitori affidatari, eppure, nonostante i corsi di formazione e l’attestato di idoneità, vengono puntualmente scartati dal Tribunale dei Minori di riferimento: dal 2021 ad oggi, sono stati quattro i minori di cui hanno richiesto l’affido, senza successo.

«È frustrante, – racconta Enrico a Wamily – ti immagini come sarà, pensi a come cambierà la tua vita, a quella che sarà la sua camera… E poi, ti rispondono sempre che “non siete adatti”». La dott.ssa Karin Falconi, Presidente di Affidiamoci, progetto per l’orientamento e il supporto di single e coppie omosessuali all’affido di minori, lo definisce un «pregiudizio istituzionale». La legge (184/83) garantisce a chiunque la possibilità di prendere in affido un bambino o un adolescente, inclusi single e coppie gay. Un diritto sulla carta che, in caso di famiglie mono e omogenitoriali, a volte fatica a diventare realtà.

14mila minori in case famiglia

In Italia si stimano circa 30mila minori fuori dalla famiglia d’origine, 14mila dei quali sono "istituzionalizzati", cioè ospitati in case famiglia e istituti. «Gli istituti sono strapieni, – spiega la dott.ssa Falconi – noi riceviamo a settimana almeno quattro appelli di minori, da 0 a 18 anni, alcuni dei quali vivono in casa famiglia da più di dieci anni».

È raro che una coppia omosessuale disponibile all'affido riceva il nulla osta dal Tribunale

Eppure, è raro che un single o una coppia omosessuale che si è resa disponibile all’affido riceva il nulla osta dal Tribunale. «Dei 190 minori con bisogni speciali che abbiamo collocato dal 2017 ad oggi, solo il 5% sono stati accolti da famiglie omogenitoriali, nonostante il nostro database di famiglie in attesa di un minore in affido sia costituito per il 20% da single e coppie gay».

La storia di Enrico e Giacomo

Nel database di famiglie affidatarie di “M’aMa-Dalla Parte dei Bambini”, l’associazione per l’adozione e l’affido in cui rientra il progetto Affidiamoci, sono inseriti anche Enrico e Giacomo, da due anni in attesa di quella chiamata che stravolgerebbe la loro vita. Era il 2021 quando si sono rivolti per la prima volta al loro ex Comune di residenza, Pavullo, in provincia di Modena, per intraprendere il percorso di affido. Dopo cinque incontri con assistenti sociali e psicologa sono stati ritenuti idonei a diventare genitori affidatari.

Ci hanno risposto che come coppia non eravamo adatti, siamo stanchi

Da allora, sono arrivate tre proposte di minori con bisogni speciali, che hanno acceso in loro la speranza, puntualmente spenta dal Tribunale. «Inizialmente ci hanno proposto due fratellini, uno con un ritardo, l’altro con un disturbo di iperattività, ma il giudice ci ha scartati perché sosteneva che la loro condizione fosse troppo gravosa per noi come primo approccio – racconta Enrico – . La seconda volta ci hanno lasciati in sospeso per oltre un anno, perché erano indecisi se dare quel minore in affido o riassegnarlo alla mamma, che l’aveva già abbandonato tre volte. L’ultima volta ci hanno risposto subito che come coppia non eravamo adatti. Siamo stanchi, il mio compagno vuole rinunciare».

Le difficoltà di single e coppie gay

Ecco perché Karin Falconi, counselor specializzata nel sostegno alla genitorialità affidataria e adottiva, ha fondato la realtà di Affidiamoci. Per supportare e accompagnare i single e le coppie omosessuali nella rivendicazione di quello che è un loro diritto sancito dalla legge: il diritto di diventare genitori affidatari, alla pari delle coppie eterosessuali.

«Proponiamo corsi mirati alla formazione di coppie omosessuali e single offrendo consulenze di coppia, prima e durante il percorso, – spiega la dott.ssa Falconi – in primis per orientare alla scelta e capire se l’affido è la strada giusta da percorrere per quella coppia o singolo candidato».

Per legge l'affido è aperto a chiunque, l'unico requisito è la formazione

«Per legge – continua Falconi – l’affido è aperto a chiunque, l’unico requisito è un’opportuna formazione presso i centri territoriali, tuttavia, nella pratica, sono pochi i Tribunali e i Servizi Sociali che accettano effettivamente la candidatura e gli abbinamenti di minori in affido, con e senza bisogni speciali, a coppie gay o single».

«Le uniche eccezioni – spiega la dott.ssa Falconi – riguardano i Tribunali di Firenze, Catania, Palermo e Napoli, più propensi ad abbinare la famiglia al minore in affido calcolando solo e sempre il bisogno reale del minore, secondo le sue esigenze, al di là di qualsiasi pregiudizio di sorta».

Single e coppie omosessuali arrivano da noi più preparati rispetto alle coppie eterosessuali

Ultrapreparati. Aperti alla diversità. Flessibili. È l’identikit di aspiranti famiglie affidatarie mono e omogenitoriali che si mettono in contatto con Affidiamoci. «Forse perché stressati dalla performance, single e coppie omosessuali arrivano da noi più preparati rispetto alle coppie eterosessuali: hanno frequentato diversi percorsi di formazione, sono in continuo aggiornamento, partecipano a vari gruppi di sostegno. Sono pronti a rivoluzionare la loro vita per il piccolo e non hanno preclusioni per specifiche forme di patologia dei minori. Di solito sono sposati da vent’anni, quindi non capisco dove non funzioni il meccanismo».

Single e coppie gay tendono a essere utilizzati come “ruota di scorta”. Se l’affido si realizza, in genere è perché il minore ha gravi difficoltà psichiche o fisiche. La giustificazione dei “no” e delle porte in faccia è l’esigenza di “normalità” per quei minori. «Vengono esclusi dalla candidatura perché al piccolo serve una famiglia “normale”, – continua Falconi – perché non sopporterebbe una “ghettizzazione” a cui andrebbe incontro vivendo con due uomini o due donne, perché risentirebbe della deprivazione dell’altro partner che non esiste. Studi scientifici hanno ampiamente smentito questa presunta “normalità”. Altri Paesi in Europa lo permettono senza intoppi».

Dopo anni di tentativi falliti, le coppie, amareggiate, demoralizzate e demotivate, gettano la spugna. «La stiamo vivendo male, – risponde Enrico – il mio compagno vorrebbe rinunciare perché, dice, “tanto sappiamo come va a finire”. Io, invece, ancora ci spero e continuo a rispondere agli appelli. Siamo stanchi perché in Italia noi saremo sempre delle famiglie di serie B, anche se paghiamo le tasse come gli altri».

Un "pregiudizio istituzionale"

La dott.ssa Falconi non ha dubbi: il numero basso di affidi concessi a coppie omosessuali e single è dettato da quello che lei chiama un “pregiudizio istituzionale”. «È un pregiudizio istituzionale che Affidiamoci vuole combattere non come diritto alla mono o omogenitorialità, – precisa – ma come diritto del minore ad avere la famiglia opportuna e più funzionale per lui e uscire dall’istituzionalizzazione».

Al di là delle battaglie al centro ci sono i minori, vittime di violenze e abbandoni che meritano di crescere in una famiglia

Già, perché, al di là degli schieramenti politici e delle battaglie della comunità Lgbtqia+, al centro dell’affido, come dell’adozione, ci sono i minori. Neonati, bambini, adolescenti e giovani uomini e donne alla soglia dell’età adulta, con disabilità e deficit mentali e fisici, con sindromi e patologie, e segnati da traumi, maltrattamenti, violenza, abbandoni, che meritano di uscire dalla comunità e crescere in una famiglia.

L’unica cautela plausibile, secondo la dott.ssa Falconi, riguarda l’apertura, o meno, verso l’omogenitorialità da parte delle famiglie di origine e dei minori grandi, che a volte, per cultura, non accettano l’affido a persone dello stesso sesso. «Bisogna sicuramente prendere in considerazione quanto il bimbo, soprattutto se grande, sia preparato e accogliente rispetto a una famiglia omosessuale, – spiega Falconi – e se la famiglia di origine è pronta ad accettare che il figlio venga inserito in una famiglia omogenitoriale. In caso di intolleranza, è inutile procedere con un abbinamento».

Affido e adozione

L’affido, infatti, è un gioco a incastro. I tasselli da combinare tra loro sono la famiglia affidataria, il minore (che dai 12 anni in su ha il diritto di esprimere il suo parere) e la famiglia di origine, che è chiamata in causa in qualsiasi scelta che riguardi il figlio.

«L’affido non è l’adozione, – continua Falconi – sono due percorsi diversi che nascono da motivazioni diverse e che hanno obiettivi e finalità diverse. L’affido è un accompagnare il minore, ma sempre con la compresenza della famiglia di origine. Anche se la famiglia “biologica” è latitante, si tratta comunque di una compresenza emotiva: il ragazzo entra in famiglia con un vissuto pieno, con un legame affettivo forte, anche se ha vissuto dei tradimenti. C’è una lealtà di fondo, che va preservata e tutelata».

L’affido è un accompagnare il minore, ma sempre con la compresenza della famiglia di origine

«Anche se sei una mamma o un papà affidatario, poi, non significa che per il minore ricoprirai quel ruolo che tu ti senti addosso – continua Falconi – . Devi partire senza aspettative, se non quella di accompagnare un bambino o un ragazzo ad essere sereno. Già ti arricchisce quando lo vedi sorridere, correre, sapendo quanto ha sofferto».

All’adozione Enrico ci ha pensato più di una volta, ma in Italia non è permessa alle coppie omosessuali, a differenza di Paesi europei come Spagna e Germania. «Per l’adozione all’estero devi essere residente in quel Paese da almeno tre anni, – risponde Enrico – devi prenderti su, lasciare tutto quello che hai, andare a vivere là, trovarti un lavoro, non è semplice. Gli anni volano, mi sembra ieri che avevo vent’anni e io e Giacomo ci eravamo appena conosciuti, poi ti ritrovi a 50 anni che non sei riuscito a concludere nulla».

L'Associazione M'aMa

Sono 6.000 le famiglie associate a “M’aMa-Dalla Parte dei Bambini”, fondata nel 2017 dalla counselor insieme a una pedagogista, Viviana Bucciarelli, e a un’avvocatessa del diritto di famiglia, Emilia Russo, professioniste impegnate nel sociale nella vita lavorativa e mamme affidatarie o adottive nella vita privata. Intorno, gravitano altre 30mila coppie coniugate e non, con e senza figli, eterosessuali ed omosessuali, disposte a prendere in affido o adottare bambini e adolescenti difficili da collocare perché grandi (di età superiore ai 9 anni), con gravi disabilità, disturbi comportamentali, fratrie numerose, vittime di abusi, violenze, maltrattamenti.

L’obiettivo è tutelare il diritto dei minori di crescere in una famiglia – etero, mono o omogenitoriale

«Riceviamo mandati gratuiti da Tribunale e Servizi sociali – spiega Falconi – per cercare famiglie già formate. Dato che non esiste un database nazionale di famiglie affidatarie, noi, nel nostro piccolo, ne abbiamo creato uno». L’obiettivo è tutelare il diritto dei minori di crescere in una famiglia – etero, mono o omogenitoriale – organizzando reti di sostegno e corsi di formazione e sensibilizzazione per coloro che intraprendono adozione e affido.

«Cosa significherebbe per me avere un figlio in affido? Una felicità infinita, non riesco a spiegarlo a parole, – conclude Enrico – una gioia per me stesso, ma soprattutto perché darei del bene a un bambino o un ragazzino».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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