La storia di Filippo, bambino autistico di 6 anni che comunica con le canzoni

Filippo ha 6 anni e quando ne aveva 2 gli è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. Oggi, la sua vita è divisa fra casa, scuola dell’infanzia, terapia Aba e musica. Ad aiutarlo nella comunicazione con la mamma Anna sono le canzoni, soprattutto quelle di Caparezza.

2 Aprile 2023
9:00
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La storia di Filippo, bambino autistico di 6 anni che comunica con le canzoni
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Le sue preferite del momento sono Supereroi di Mr. Rain e Due Vite di Marco Mengoni. Quelle che conosce a memoria sono di Caparezza. Una diagnosi di autismo non scalfisce la passione per la musica, specie se hai una mamma cantante e un papà chitarrista. È la storia del piccolo Filippo, un bambino di 6 anni, a cui più di quattro anni fa è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico con grado di supporto 3. Filippo odia il baccano nei locali affollati, preferisce la distanza ai baci e agli abbracci, e fatica a pronunciare le frasi per intero, tanto che per comunicare ha inventato un modo tutto suo: parla attraverso le canzoni. «Io e lui comunichiamo a canzoni – racconta a Wamily la mamma Anna – l'articolazione delle parole non è eccelsa, ma ha un’intonazione molto sviluppata, e la utilizza per cercare di trasmettermi un concetto quando è nervoso o qualcosa non va».

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«Qualcosa non andava»

L’autismo è una forma subdola di disabilità, perché, come nel caso del piccolo Filippo, è invisibile. Anzi, è difficile perfino riconoscerla nei primi mesi di vita. Quando t’imbatti nella disabilità, ti aspetti di vederla. Vederla nei tratti somatici o nei movimenti di quella persona, nella sedia a rotelle, negli occhiali scuri calati sul naso, nella mano di un accompagnatore che stringe la sua. Eppure, guardandolo le fotografie che la sua mamma Anna condivide sul suo profilo, Filippo è un pargoletto come gli altri, dagli occhi nocciola e dal sorriso tenero. «Abbiamo iniziato a notare che qualcosa non andava in lui intorno ai 18 mesi – spiega la mamma Anna – Filippo non accennava a parlare, né muoveva la manina per salutare, e vedevamo la differenza con il suo cuginetto, che aveva solo due mesi in più di lui. Adesso, a posteriori, mi rendo conto che c’erano tanti altri campanelli d’allarme, come il non saper gestire la presenza di un estraneo vicino al nucleo o il non sapere giocare correttamente con i giocattoli».

La diagnosi: disturbo dello spettro autistico

Mamma e papà si sono immediatamente rivolti al pediatra e, scoraggiati dalla lista d’attesa lunga sei mesi per una visita specialistica all’Asl territoriale, hanno contattato un neuropsichiatra privato, che si è occupato della pre-diagnosi. Dopo 30 giorni circa, intorno ai 25 mesi di Filippo, è arrivata, come una doccia fredda, la diagnosi definitiva: disturbo dello spettro autistico con grado di supporto 3. «Nel momento in cui abbiamo preso consapevolezza di quale fosse la situazione di Filippo, abbiamo intrapreso il percorso, senza soffermarci troppo a rimuginare – continua Anna – più ci pensi, più è logorante, perché ti poni tante domande e tanti perché. Ad oggi non so se ho elaborato la diagnosi, ho semplicemente cercato di reagire trasformando quel dolore e quella rabbia in benzina per andare avanti».

Filippo sente le cose con una ipersensorialità o con una iposensorialità

Le difficoltà più grandi per Filippo consistono nella comunicazione e nella relazione con l’altro. «Lui funziona in maniera diversa – spiega la mamma Anna – percepisce, vede, sente le cose a volte con una ipersensorialità, a volte con una iposensonsorialità. Il suo distacco può essere scambiato per menefreghismo o disinteresse, in realtà magari lui non sa come esprimere quella relazione».

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Mamma Anna con il figlio Filippo

Tra insegnante di sostegno, musicoterapista e psicologa

Scuola dell’infanzia, musicoterapia, attività con la psicologa e la terapista. La settimana di Filippo è scandita da lezioni, attività di gioco e appuntamenti terapeutici. «Su consiglio della neuropsichiatra, siamo partiti con l’Early Start Denver Model, che mi ha permesso di costruire un rapporto solido e spontaneo con mio figlio, perché a svolgere il trattamento ero io – spiega Anna – poi, abbiamo proseguito con l’Aba». L’Early Start Denver Model (ESDM) è una terapia comportamentale per piccoli con autismo fino ai 4 anni di età, che si basa sui metodi dell’Analisi Comportale Applicata (ABA). Genitori e terapisti usano il gioco per costruire relazioni positive e divertenti col bimbo, che è stimolato a potenziare le sue abilità linguistiche, sociali e cognitive. Filippo, ormai cresciuto, dedica otto ore a settimana alla terapia Aba, in una struttura in cui è seguito da una terapista e da una psicologa.

La musica lo ha aiutato a maturare il linguaggio

Grazie a un regalo di compleanno azzeccato, Anna ha scoperto la predisposizione di Filippo per la musica. «Per un suo compleanno ci hanno regalato tre lezioni di musicoterapia, io all’inizio ero scettica – commenta la mamma – mi sono dovuta ricredere: si è percepito subito l’attaccamento di Filippo alla musica, lo vedevi che rispondeva agli stimoli proposti dall’insegnante Elisa ed era attratto da quello che lei cantava o suonava». A settembre Filippo inizierà la scuola primaria e il percorso di musicoterapia, che ha iniziato tre anni fa, lo sta aiutando a lavorare sul riconoscimento grafico delle lettere e sulla pronuncia corretta. «A me piace dire che l’insegnante di musicoterapia, Elisa, ha tirato fuori il linguaggio a Filippo: prima di allora emetteva solo lallazioni, a volte funzionali a volte no, ma con la musica è riuscito a maturare il linguaggio e un’articolazione più precisa».

Trovare la scuola dell'infanzia adatta a lui non è stato semplice

A scuola Filippo è seguito da un educatore e da un insegnante di sostegno e in classe si è creato un angolino tutto suo con un piccolo scaffale, dove conserva i suoi giochi. «Ha un suo scaffalino con i bottoni, le schede di pregrafismo e con i libriccini che lo rilassano» spiega Anna. Le insegnanti gli hanno preparato dei tesserini per riconoscere il volto dei compagni tramite la fotografia. «Ha dei compagni collaborativi – continua – svolge qualche attività anche con loro, come disegnare, attaccare e staccare, giochi fino motori». Trovare l’ambiente scolastico più adatto a lui e alle sue esigenze non è stato semplice e mamma Anna si reputa fortunata. Fil ha già cambiato una scuola dell’infanzia: «Il primo anno nella vecchia scuola è stato travagliato, complice anche la pandemia – spiega Anna – e quando abbiamo ripreso l’anno successivo, è stato un declino. Dove siamo ora abbiamo trovato un’accoglienza diversa, la scuola comunica direttamente con la terapista Aba, si inviano addirittura i video per mostrare come è stata svolta una determinata attività. Sono consapevole che siamo stati fortunati: tanti genitori che vivono la realtà dell’autismo faticano a trovare supporto a scuola».

Regola numero uno: evitare il caos

Con Filippo, serve qualche attenzione in più. Una su tutte, evitare gli spazi sovraffollati o caotici, in cui il baccano regna sovrano e rimbomba fra le mura del locale. «Le prime volte al ristorante andavamo a mangiare come le galline, prestissimo, quando non era arrivato ancora nessuno – spiega Anna – negli anni si è più abituato. I problemi maggiori li abbiamo in ambienti dove l’insonorizzazione è pessima… In quei casi o non ci andiamo o prendiamo il nostro vassoio e usciamo, in modo che l’acustica ci permetta di goderci il nostro pasto in pace». I progressi sono un’incognita. «Mi avevano detto che probabilmente non avrebbe mai parlato, ma oggi sono contenta di poter smentire quelle parole, perché se stimolato correttamente, un pochino parla» spiega Anna.

A volte è complicato comunicare, si chiude a riccio

Filippo ascolta chi lo circonda, quel che è difficile per lui è trasformare quel che sa in suono, in parole, in messaggi verbali. «Il nostro obiettivo è aiutarlo a tirare fuori quello che ha dentro, perché solo se lui impara a manifestare i suoi disagi tramite le parole io posso aiutarlo – continua Anna – a volte è complicato, si chiude a riccio e non riesco più a capire il problema». Per fortuna esistono le canzoni. Ed esiste Caparezza, che piace tanto a mamma, a papà e soprattutto a Fil.

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Filippo con il papà

La lentezza dei servizi sul Territorio

Le carenze nei servizi per le famiglie con figli autistici sono ancora tante nel nostro Paese. Prima di una visita con uno specialista a volte trascorrono mesi e i trattamenti garantiti in regime pubblico sono concessi con il contagocce, in situazioni in cui una diagnosi rapida potrebbe rivelarsi rivoluzionaria e una settimana in più di attività mirate potrebbe fare la differenza nell’acquisizione delle competenze. «Le tempistiche nella prima infanzia sono fondamentali perché prima s’inizia, maggiore è la possibilità di intraprendere un percorso graduale ed efficace – continua Anna – se il bambino ha già cristallizzato determinati fastidi diventa più complicato aiutarlo. Se si riuscisse ad intervenire ed aiutare prima il piccolo, ad avere un supporto immediato dal Territorio, ad avere una diagnosi rapida, iniziando un percorso più costante, con due o tre appuntamenti a settimana, il bambino acquisirebbe utili consapevolezze e competenze per un’autoregolazione».

Una mano tesa è arrivata dall’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili (ANMIC), che ha supportato dal punto burocratico la famiglia di Filippo. «Ci hanno aiutato a sbrogliare la matassa di documenti per garantire i diritti di Filippo, dalla Legge 104 all’insegnante di sostegno a scuola, accompagnandoci nell’iter burocratico che intraprende chi ha una diagnosi funzionale» spiega Anna.

Imparare a conoscere l’autismo, a gestirlo, a non sovraccaricarlo o sovrastimolarlo, è essenziale per il piccolo e per il genitore. «Se so che mio figlio ha determinate difficoltà nei luoghi molto rumorosi, lo munisco di cuffie, arrivo a un orario meno caotico, entro in classe quando i compagni sono già seduti… Se arriva prima l’aiuto arrivano prima tante consapevolezze».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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