Sei famiglie, sei storie, un sentimento: l’amore

Che cosa significa essere una famiglia? Lo abbiamo chiesto a sei famiglie, che agli occhi della società potrebbero apparire diverse tra loro per come sono composte, per come sono venuti al mondo i loro figli, per l’orientamento sessuale dei genitori o per il colore della loro pelle. In realtà, l’ingrediente che le caratterizza è uguale per tutte: l’amore.

4 Aprile 2023
14:46
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Sei famiglie, sei storie, un sentimento: l’amore
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La prima immagine che ci viene in mente quando ci immaginiamo una famiglia? Probabilmente, una tavola apparecchiata per la cena, o una torre di piatti accumulati nel lavello, la cesta dei vestiti sporchi da lavare sopra alla lavatrice, i calzini spaiati in fondo al letto. Ah, e l’amore, quel collante emotivo che lega coloro che entrano ed escono dalla cucina, dal bagno e dalla camera da letto, nel loro frenetico via vai quotidiano, fra casa, lavoro, supermercato, scuola, università, teatro, bus, auto, palestra, oratorio. È l’amore, il sentimento dei sentimenti, che accomuna tutte le famiglie, a prescindere dal colore della loro pelle, dal numero e dal genere dei membri che le compongono, da come quei figli sono venuti al mondo. Noi di Wamily, ne abbiamo intervistate sei, che hanno alle spalle storie e percorsi diversi, ma che sono più simili di quanto si possa immaginare.

Chi ha una famiglia «tradizionale» e si chiede che cosa sia la normalità, perché la sua, di storia, è tutto fuorché comune. Un uomo, una donna, dei figli: quel quadretto familiare che, dall’esterno, è additato come perfetto, in realtà nasconde e custodisce difficoltà quotidiane, fragilità, traguardi sudati, cadute e risalite.

Chi, fallito un matrimonio, ha trovato la forza di ricostruire una famiglia da capo, con un nuovo compagno, i figli propri e quelli dell’altro. Una famiglia allargata vive una quotidianità caotica e movimentata, che non stanca mai. Quello che appaga è ritrovarsi, quella settimana al mese, riuniti tutti sotto allo stesso tetto, per godersi il tempo che, quando ci si deve separare a giorni alterni, diventa all’improvviso più prezioso.

Chi ha sperimentato sulla propria pelle la difficoltà di rimanere incinta, e ad anni di distanza, nonostante il figlio tanto desiderato sia arrivato, conta ancora le ferite che quel percorso di procreazione medicalmente assistita ha lasciato su di lei e sul marito. Un calvario di visite, di liste d’attesa interminabili, di risposte disinformate, di punti di domanda, di una lineetta solitaria sul test di gravidanza, che mette a dura prova e, allo stesso tempo, tempra e fortifica.

Chi quel figlio l’ha sognato e voluto da sola, lottando a denti stretti per averlo e diventare un genitore single. È salita su un aeroplano per lui, si è sottoposta a un trattamento medico e, quando finalmente è nato, l’ha abbracciato forte, con il cuore rigonfio di un amore che vale per due.

Chi si è scontrato con una realtà che fatica ad accettare la sua famiglia perché ritenuta diversa. Diversa per il colore della pelle dei genitori, perché mamma e papà non conoscono la lingua, perché la sorella indossa il velo in classe, perché «rubano lavoro» a chi in quel Paese ci è nato e ci abita da generazioni, perché la sua è una famiglia immigrata. Oppure, diversa perché, anziché avere una mamma e un papà, ha due mamme, e rivendica con orgoglio e convinzione l’esistenza della sua famiglia omogenitoriale, combattendo ogni giorno per veder riconosciuto un diritto che dovrebbe essere garantito a chiunque, quello che la sua famiglia sia accettata come le altre.

In effetti, che cosa le distingue, se non le etichette? Solo se collegassimo la storia personale di ciascuna di loro ad ogni volto, potremmo catalogare e definire come diverse quelle sei famiglie. Se scegliamo di non giocare all’identikit, rimane, a identificarle, l’amore incommensurabile che li lega ai loro genitori, figli, partner. Oltre che un piatto di pasta al pomodoro in tavola alla domenica a pranzo: quello vale per tutti.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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