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6 Marzo 2024
18:00

I padri hanno diritto al congedo di paternità in caso di aborto spontaneo o lutto perinatale?

In Italia è concesso ai papà di usufruire dei dieci giorni di congedo obbligatorio di paternità anche in caso di morte del neonato alla nascita o dopo il 180° giorno di gravidanza. Se il feto muore prima, tuttavia, non sono riconosciuti giorni di congedo né al padre né alla madre (la quale al massimo può richiedere la malattia)

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I padri hanno diritto al congedo di paternità in caso di aborto spontaneo o lutto perinatale?
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Negli ultimi giorni il Parlamento svizzero ha stabilito che il padre di un neonato nato morto o deceduto poco dopo il parto beneficerà comunque del congedo di paternità, che nel Paese oltralpe è di due settimane. Ma in Italia come funziona?

L’aborto spontaneo o terapeutico, come il lutto perinatale, sono eventi drammatici, capaci di produrre un “effetto granata” all’interno della coppia, rivoluzionandone gli equilibri. Eppure all’esterno se ne accorgono in pochi, e chi alza lo sguardo e si preoccupa della tragedia che ha investito la famiglia, tende a rivolgere l’attenzione esclusivamente alla mamma, come se i padri fossero indenni o estranei al dolore della perdita del figlio e ai risvolti psicologici che comporta.

Anche se in pochi ne sono al corrente, dal 2021 in Italia è concesso ai papà di astenersi dal lavoro e usufruire dei dieci giorni di congedo obbligatorio di paternità pure in caso di morte del neonato alla nascita o dopo il 180° giorno di gravidanza (la ventottesima settimana di gravidanza). A differenza di altri Paesi, tuttavia, nel Belpaese non è possibile né per le donne né per gli uomini richiedere il congedo di maternità o paternità in caso di aborto spontaneo, avvenuto prima della ventesima settimana di gravidanza.

Il congedo di paternità in caso di lutto perinatale

I padri lavoratori dipendenti hanno il diritto di avvalersi dei dieci giorni di congedo di paternità in caso di morte perinatale, cioè di perdita del figlio dopo il 180° giorno di gravidanza o entro i primi dieci giorni dopo la nascita. A sancirlo è stato il decreto 178/2020 che, modificando la legge 92/2012, ha aggiunto la precisazione sul lutto perinatale:

Il  padre  lavoratore,  dai  due  mesi precedenti la  data  presunta  del  parto  ed  entro  i  cinque  mesi successivi, si astiene dal lavoro per  un  periodo  di  dieci  giorni lavorativi, non frazionabili ad ore, da utilizzare anche in  via  non continuativa. Il congedo è fruibile, entro lo stesso arco temporale, anche in caso di morte perinatale del figlio.

In una circolare (la n° 42 dell’11 marzo 2021) l’Inps ha chiarito che per «periodo di morte perinatale» si intende l'arco di tempo compreso tra l’inizio della ventottesima settimana di gravidanza (che cade nella seconda metà del settimo mese) e i primi dieci giorni di vita del neonato.

Non sono previsti tuttavia giorni di astensione dal lavoro in caso di aborto spontaneo, quindi di perdita del feto nelle prime settimane di gravidanza. Quindi, se la perdita avviene prima della ventottesima settimana di gravidanza, non è previsto alcun congedo per il padre (come per la madre, che al massimo ha il diritto di richiedere il congedo per malattia).

Il ddl dell’ex senatrice Garavini

Nel febbraio 2022 l’ex senatrice Laura Garavini aveva presentato un disegno di legge – mai approvato – per l’istituzione di un congedo parentale «straordinario» dedicato ai genitori che vivono la drammatica esperienza di un aborto spontaneo o di una morte perinatale. L’obiettivo della misura – che prevedeva cinque giorni di congedo retribuito – era quello di lasciare tempo alla coppia per «elaborare il lutto» ed «essere tutelati da effetti psicologici a lungo termine».

Effetti psicologici della perdita sulla coppia

Aborti spontanei (cioè interruzioni di gravidanza per cause naturali prima del 180° giorno di gestazione) e lutti perinatali sono eventi più frequenti di quanto si immagini. L’Istat registra oltre 43mila aborti spontanei all’anno, anche se probabilmente sono di più, considerando che non vengono calcolati i casi che non ricevono assistenza sanitaria. Le morti perinatali (cioè la perdita del feto nelle ultime settimane di gravidanza o la morte del neonato nei primi dieci giorni dalla nascita) invece sono 1800 all’anno, secondo l’Istituto Superiore di Sanità.

Dietro ai numeri, si nascondono storie di sofferenza di donne, di uomini e di coppie, che rimangono taciute o ignorate. Nella concezione comune l’aborto spontaneo e la morte perinatale tendono ad essere intesi come «non lutti», morti di serie B, e le esigenze psicologiche dei genitori vengono percepite come «esagerazioni».

A sottolinearlo sono diversi studi, che negli hanno hanno esaminato le conseguenze psicologiche di aborti spontanei e terapeutici e morti perinatali sulle madri e sulla famiglia in generale. Anche se in misura minore rispetto alle donne, una ricerca pubblicata nel 2021 sulla rivista della Società Internazionale di Ecografia Ostetrica e Ginecologica ha rilevato in alcuni dei partner partecipanti manifestazioni di ansia e depressione dopo la perdita del figlio in gravidanza.

Il caso della Nuova Zelanda

La Nuova Zelanda è il Paese più all’avanguardia al mondo da questo punto di vista. Nel 2021 il governo di Jacinda Ardern – l’ex Primo Ministro neozelandese che si è dimessa nel 2023 perché non aveva più energie e per tornare a dedicarsi alla famiglia e ai figli – ha introdotto una legge che stabilisce tre giorni di lavoro pagato per entrambi i genitori che vivono l’esperienza di un aborto spontaneo o di un neonato morto prima o durante il parto. La norma rappresenta un unicum nel panorama internazionale poiché consente sia alla madre che al partner di astenersi dal lavoro in caso di aborto spontaneo avvenuto in qualsiasi momento prima del parto (e quindi non solo dopo un numero minimo di settimane di gravidanza). La disposizione neozelandese tuttavia non vale in caso di interruzione volontaria di gravidanza.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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