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9 Marzo 2024
14:00

Il fenomeno delle reborn dolls, le bambole iperrealistiche trattate come figli veri

Le reborn dolls sono bambole che riproducono manicalmente le fattezze di neonati o bambini tanto da sembrare vere. Sono oggetti da collezione o strumenti terapeutici, anche se diversi adulti le utilizzano per giochi di ruolo, fingendo di essere la loro mamma.

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Il fenomeno delle reborn dolls, le bambole iperrealistiche trattate come figli veri
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Indossano il pannolino sotto alla tutina in ciniglia, hanno la pelle di pesca, il ciuccio personale e un bavaglino legato al collo. Insomma, sono quasi indistinguibili dai neonati in carne ed ossa, salvo che per un aspetto: non piangono, non respirano, non si muovono. In poche parole: sono finte. Sono le “reborn dolls” (o «bambole rinate»), delle riproduzioni iperrealistiche in vinile o silicone con le precise sembianze di neonati o bambini. A differenza delle bambole tradizionali, vengono sconsigliate ai più piccoli perché, più che banali giocattoli, sono oggetti da collezione o strumenti terapeutici, anche se diversi adulti le utilizzano per giochi di ruolo, fingendo di essere mamme e papà dei piccoli fantocci. Le vestono, le dondolano nel passeggino, le cullano in braccio, le chiamano per nome. Il fenomeno delle bambole reborn, nato negli Stati Uniti negli anni Novanta, negli ultimi anni sta vivendo una popolarità senza eguali, complice l’avvento delle piattaforme social (su TikTok i video delle “mamme reborn” incassano milioni di visualizzazioni) e dei siti di vendita come eBay, su cui i collezionisti vendono e acquistano i modelli più ricercati di bambole realistiche.

Cosa sono le bambole reborn

Le bambole «rinate» o «nate due volte» nascono come hobby negli Stati Uniti. Si trattava inizialmente di un passatempo di nicchia a cui, fra gli anni Ottanta e Novanta, si dedicava chi aveva voglia di restaurare, ridipingere e ristrutturare vecchie bambole di poco valore restituendo loro un aspetto realistico. Con il tempo, i cultori della pratica hanno affinato le tecniche, rendendo il “reborning” un’attività artistica. Con l’arrivo di Internet le bambole iperrealistiche, da fantocci da collezione venduti nei mercatini locali, hanno progressivamente acquisito popolarità – la prima bambola reborn venduta su eBay risale al 2002 – fino a diventare un fenomeno planetario.

Perché si usano le bambole reborn

Sono diversi gli usi a cui sono destinate le bambole reborn:

  • Oggetto da collezione
  • Ausilio terapeutico per pazienti che soffrono di demenza senile, Alzheimer o ritardi cognitivi, anche se esistono testimonianze di donne che trovano conforto nelle bambole reborn dopo un aborto, la perdita di un figlio, la scoperta dell’infertilità o in caso di depressione
  • Gioco di ruolo: il proprietario della bambola finge di esserne la madre o il padre, simulando le azioni quotidiane di un genitore con un figlio piccolo, tanto che si parla di “maternità non riproduttiva
  • Oggetto di scena o controfigura in film, serie tv, opere teatrali quando è richiesta la presenza di un neonatoCorsi di preparazione al parto

A utilizzare le bambole reborn sono prevalentemente adulti, o al massimo adolescenti, e di sesso femminile. Trattandosi di lavori di cura e precisione, con dettagli elaborati e minuziosi che rischiano di essere accidentalmente rovinati o ingeriti dai più piccoli, vengono generalmente indicate per chi ha un’età superiore ai 14 anni.

Controversie

Il successo delle reborn dolls è piuttosto dibattuto. C’è chi le guarda con tenerezza, chi con inquietudine, chi si domanda se sia o meno sano creare un legame affettivo con una bambola, o non nasconda invece un disagio o un’ossessione. Senza dubbio, il fenomeno del “reborning” non lascia indifferenti: affascina e incuriosisce chiunque, detrattori ed estimatori.

Nel 2021 Karolina Jonderko, una fotografa polacca che ha dedicato uno dei suoi progetti artistici alle bambole reborn ha raccontato alla CNN la sua esperienza con le “mamme reborn”, proprietarie dei suoi soggetti fotografici. Quelle che aveva incontrato erano donne che avevano subìto lutti perinatali o stavano attraversando disturbi alimentari o uscendo dalla depressione e che, nonostante avessero già figli, avevano trovato conforto nella bambola iperrealistica, identica a un neonato in carne ed ossa. La portavano al parco, in vacanza con la famiglia, le cambiavano il pannolino.

«Una volta su un autobus una bambola è caduta dalle mani di una ragazza», ha raccontato Jonderko alla CNN. I passeggeri hanno iniziato a urlare e l’autista ha fermato l’autobus. Le persone hanno chiamato il 911 per chiedere aiuto. Abbiamo dovuto spiegare che era solo una bambola e fare il giro dell'autobus per dimostrarlo».

Il “reborning”, anche se è arrivato più tardi in Italia, non è un caso esclusivamente internazionale. Chiara – nota sulle piattaforme social come “Rebornbabygiulia” – è una content creator italiana da quasi 300mila follower su TikTok, diventata popolare sul web per i video in cui mostra la sua quotidianità da mamma. La routine di Chiara è diversa da quella di qualsiasi altra family influencer perché i suoi figli sono bambole in silicone.

In tanti guardano con scetticismo il fenomeno. La reazione di sgomento è comprensibile e rientra nel concetto di “uncanny valley” («valle perturbante») che si verifica pure con i robot: quando una creatura artificiale diventa quasi indistinguibile da una creatura umana, rischia di provocare l’allontanamento delle persone.

Gli studi scientifici dedicati sono limitati e si sono centrati sull’uso terapeutico per pazienti affetti da demenza. Anche se i risultati non sono chiari, la terapia con le bambole è ritenuta un trattamento non farmacologico che aiuta le persone con Alzheimer o difficoltà cognitive a promuovere l’attaccamento e la compagnia.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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