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28 Febbraio 2023
14:00

Il piccolo Edoardo affetto da tetraparesi spastica e la sua famiglia. Vivere felici con la disabilità

Gabriele Belloni, 32, e Jessica Magatti, 31, sono i genitori di Edoardo, un giovanotto di 4 anni e mezzo che ha trasformato le loro vite. Un figlio - specie se è il primo - cambia la vita a chiunque, ma Edo l’ha stravolta e reinventata da cima a fondo. Una rivoluzione chiamata disabilità grave - o, per essere più scientifici, tetraplegia spastica - che Gabriele e Jessica affrontano giorno per giorno a testa alta e con il cuore pieno.

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Il piccolo Edoardo affetto da tetraparesi spastica e la sua famiglia. Vivere felici con la disabilità
Disabilità

Mamma Jessica, papà Gabriele, il piccolo Samu e il grandicello Edo. Nella pancia di Je, un terzo fratellino, che nascerà nel mese dei fiori, maggio. La famiglia Belloni-Magatti – nativa di Abbiategrasso, in provincia di Milano – ha imparato a convivere con una forma grave di disabilità, la tetraparesi spastica, di cui è affetto il 4enne Edoardo.

La sveglia suona alle 7 del mattino. È un lusso, ci spiega Je: fino all’anno scorso Edo era già vispo nel cuore della notte, e mamma Jessica, dopo una notte a calmare le sue crisi epilettiche, lo sistemava sulla carrozzina e lo accompagnava fuori per un giretto alle prime luci dell’alba, quando i panettieri infornavano le prime pagnotte della giornata.

Dopodiché, inizia la routine mattutina: ginnastica respiratoria, lavaggi nasali e dei dentini, stimolazione motoria e cognitiva. Alle 9:30 è l’ora della fisioterapia, a volte con l’ausilio della neuro-psicomotricista. Il movimento lascia posto agli esercizi di logopedia sul seggiolone, per evitare di compromettere l’articolazione mandibolare e la respirazione. Dopo le nanne di un’ora, alle 14 ricomincia l’attività fisica, seguita da nuove stimolazioni logopediche e attività cognitive-sensoriali per poi passare all’ultima sessione di attività motoria delle 18. Dopo il bagnetto, alle 21 una prima batteria di farmaci antiepilettici lo aiuta ad addormentarsi e qualche ora dopo inizia la pappa notturna in gastrostomia: anziché la pastasciutta, liquidi, e una sonda al posto del cucchiaio.

Il dramma è che Edo è nato sano. La sua disabilità nasce da un’asfissia post parto.

La vita di mamma Je e di papà Gabri ruota intorno a quella di Edo. Lei, infermiera di professione, non è più tornata a lavoro dopo la nascita del piccolo, per garantire al figlio l’assistenza sanitaria che gli occorre h24, sopperendo, di fatto, alla carenza dei servizi che il nostro Paese offre in situazioni delicate di questo tipo. Sei a settimana erano le ore di assistenza infermieristica che lo Stato aveva riconosciuto alla famiglia alla nascita di Edoardo, giusto il tempo per permettere a Jessica di lavarsi e mangiare. Oggi quelle sei ore risicate sono diventate 25, grazie alle battaglie burocratiche combattute dai suoi genitori.

I nonni, che abitano al piano di sopra, hanno richiesto la pensione anticipata per dedicarsi ai nipoti, assumendo, con il loro costante aiuto, il ruolo di co-protagonisti nella storia della famiglia Belloni-Magatti.

Una storia drammatica che lascia un forte retrogusto amaro dovuto all’inefficienza delle istituzioni e alle gravi lacune dei servizi, economici e sanitari, garantiti alle famiglie con disabili a carico. Ma anche una storia di coraggio e di resilienza, in una famiglia che è riuscita ad assorbire l’urto della tragedia senza rompersi e che ha deciso di costruirsi con amore e dedizione una felicità nuova e diversa.

Oggi Jessica e Gabriele raccontano la loro quotidianità sui social ("associazione_espera") e hanno fondato un'associazione, Espera, che – come raccontano nel libro Con il sole nella tempesta – punta a supportare bambini con disabilità gravissima come Edoardo, e le loro famiglie.

«Il problema non è la disabilità di nostro figlio, ma il fatto che dobbiamo lottare contro tutto e tutti per ottenere quello che ci spetterebbe di diritto» ci racconta la coppia in quell'ora d'aria serale in cui Edo dorme (almeno fino a quando non iniziano le crisi epilettiche). «Per ottenere il minimo che ci spetta siamo dovuti andare per avvocati» continua papà Gabri, prima di interrompersi improvvisamente: sta suonando il saturimetro di Edo, si alza e, farmaci alla mano, corre in camera del figlio.

Qual è la storia di Edoardo?

Edoardo, quattro anni e mezzo fa, è nato sano. Dopo il parto si è verificato un principio di morte bianca, che in un terzo dei casi avviene nelle prime due ore dalla nascita. Edoardo è stato dichiarato sano al momento della nascita, e subito dopo ha avuto un collasso postnatale (o sofferenza postnatale).

Non piangeva, non si muoveva, non ciucciava bene. A un certo punto gli ho sollevato un braccio, ed è caduto a peso morto. A quel punto si sono accorti che il neonato era violaceo, l'han portato via d'urgenza, ma ormai era troppo tardi.

Oggi grazie a un’operazione che gli ha stoppato i vomiti, Edoardo è diventato un pelo più stabile, e io e Gabriele siamo passati dall’essere totalmente assorbiti al poter emergere quel tanto da renderci conto che eravamo totalmente in burnout. All’inizio vai avanti con l’adrenalina per salvare la vita a tuo figlio, poi, quando le emergenze diminuiscono e lui inizia ad avere piccoli miglioramenti, allora ragioni.

Associazione Espera

Qual è la diagnosi di Edoardo?

Tetraparesi spastica da danno ischemico post natale, con assenza di deglutizione, deficit visivo e uditivo, crisi epilettiche. Ha un danno al cervello, con deficit motori-sensoriali.

Avete dovuto smettere di lavorare per assistere vostro figlio?

Jessica, che di professione è un'infermiera, non è più potuta tornare a lavoro e si è completamente dedicata ad Edo, mentre io (Gabriele, ndr) sono l'unico a uscire per andare in ufficio. Serviva una competenza infermieristica e all’inizio ci avevano dato un’infermiera 6 ore a settimana. Praticamente il tempo in cui Jessica mangiava e faceva la doccia.

Edo richiede un’assistenza infermieristica h24. Ha bisogno del broncoaspiratore – inserendo un tubicino nel nasino eliminiamo le secrezioni da trachea e polmoni – del dosaggio e della somministrazione dei farmaci, dell’alimentazione tramite Peg – una sonda per l’alimentazione artificiale – e dell’occorrente per la gestione delle crisi epilettiche.

Qual è la vostra giornata tipo?

Abbiamo la fortuna di avere i miei genitori (di Jessica, ndr), che abitano sopra di noi e su cui possiamo contare. Nei primi mesi di vita Edoardo necessitava di un’assistenza di almeno due persone: se io gestivo l’urgenza, l'altro chiamava i soccorsi. Adesso, la situazione è migliorata: le urgenze sono diminuite e gli aspiriamo la saliva circa quattro volte l'ora (prima ogni cinque minuti).

Appena è sveglio, cominciamo con la ginnastica respiratoria e i lavaggi dei dentini e nasali. Poi, lo stimoliamo in senso motorio e cognitivo in posizione seduta – guadagnata solo da un anno, prima non riusciva a mantenersi in posizione verticale perché gli colava la saliva di traverso – e alle 9:30 iniziamo la fisioterapia con la neuropsicomotricista. Dopodiché, arriva il momento della stimolazione della logopedia, per aiutarlo a percepire i sapori, anche se il nostro obiettivo non è quello di farlo mangiare, ma di non compromettere l'articolazione mandibolare e la respirazione.

Espera Edoardo

Arriva il momento pappa, con tre boli di nutrizione in gastrostomia, e alle 21 si addormenta, grazie alla batteria di farmaci antiepilettici che lo aiuta a riposare. Noi siamo più liberi in questa fascia oraria, anche se fra poco parte la pappa notturna e di notte ci alterniamo per sorvegliarlo.

Il piccolo Samuele come vive la disabilità del fratello più grande?

Samu la vive con naturalezza. Essendo nato nel periodo della pandemia per lui i bambini sono tutti come Edoardo. Il problema è che considera Edo come un fratello minore, mentre il minore è lui. A questo proposito, la nostra psicoterapeuta ci ha consigliato di rendere Samuele più consapevole, senza mentirgli. Se lo teniamo all’oscuro, rischiamo che, quando si scontrerà con il mondo esterno, viva più pesantemente la condizione del fratello.

Il fratello di un disabile vive in una condizione di fragilità anche se è sano

Samu non è stato un “chiodo schiaccia chiodo”, ma è stato pensato, voluto e tanto desiderato. È la vivacità in persona e il suo arrivo ha portato quella ventata di brio e spensieratezza che avevamo un po’ perso, è stato come un terremoto di vita che ci ha travolti e ci ricorda ogni giorno che là fuori c’è un mondo da scoprire, di cui facciamo parte anche noi, anche Edo. Samu ci ha insegnato a vivere con più naturalezza la disabilità di Edo, a rimandare per una volta le mille cose da fare per uscire a fare un giretto tutti e quattro insieme, a non tenere Edo sotto una campana di vetro escludendolo da tutto e da tutti, ma a fare noi il primo passo includendo gli altri e guidandoli alla scoperta del piccolo grande mondo di Edo.

Senza che ce ne rendessimo conto, Samu si è mostrato presto consapevole di una situazione troppo difficile da capire alla sua età e così desideroso di prendersene cura. Per Samu è normale prendere il braccio del fratello per aiutarlo a toccare quel gioco a cui altrimenti da solo Edo non arriverebbe. Samu con Edo cerca di riprodurre tutto ciò che vede fare a noi, e lo fa con una naturalezza e con un amore tale che ogni volta ci commuove.

Senza dubbio, Samuele vive in una condizione di fragilità anche se è sano, ed è svantaggiato perché le forze del genitore sono assorbite dal fratello disabile, anche se noi ce la mettiamo tutta per farlo sentire unico, per dedicargli del tempo esclusivo.

Allo stesso tempo, siamo convinti che avere un fratello disabile sia un valore aggiunto. La disabilità, pur provocando rabbia, ti apre gli occhi sul senso reale della vita, ti insegna ad essere felice delle piccole cose e che non ti servono grandi viaggi per essere contento, come pensavamo noi all’inizio.

Avere un disabile in casa è un valore aggiunto

Ovviamente per Edoardo è stimolante avere un fratello: da quando ha Samu, ha iniziato a interagire di più, ha occhi solo per lui. Vedremo cosa succederà adesso che entrambi hanno iniziato il percorso scolastico… Una novità importante per tutti e due.

Famiglia con disabilità

Quindi Edoardo ha iniziato ad andare a scuola?

Sì esatto, alla scuola dell’infanzia, ha iniziato a metà febbraio. Lui ha bisogno dell’assistenza infermieristica anche lì: ci saremo io (Jessica, ndr) e delle infermiere. Crediamo che l’ambiente scuola gli sia utile, e che vedere la diversità, che è sempre un arricchimento, possa servire anche agli altri bambini.

Vedere la diversità è un arricchimento

La nostra terapista organizzerà terapie di gruppo con la classe per aiutare i compagni a comprendere la diversità di Edo e per aiutare lui a interagire col mondo esterno.

Anche in questo caso ci hanno messo i bastoni fra le ruote: abbiamo dovuto lottare per ottenere quello a cui Edoardo ha diritto, cioè il servizio di trasporto casa-scuola, dato che noi non abbiamo un’auto adeguata per caricare la sedia a rotelle.

Come è possibile?

Ci è stato risposto che la legge non consente lo spostamento da un Comune all’altro, nonostante la scuola disti 3 km da casa. Adesso, grazie all'aiuto di un avvocato, i nodi sono venuti al pettine.

Vogliamo inserirlo in società, vogliamo un'inclusione vera

Noi vogliamo l’inserimento nella società, non rinchiudere Edoardo in centri per soli disabili, vogliamo un’inclusione vera.

Non tutte le famiglie han tempo di battagliare per i propri diritti come noi. I primi due anni ci arrangiavamo da soli senza chiedere niente, poi siamo arrivati all'esaurimento e abbiamo cominciato a pretendere tutto con i denti e con le unghie.

Tra l’altro, il poco che danno, lo danno solo al bambino, senza pensare che tutta la famiglia affronta una situazione di disabilità.

Quali sono i servizi più carenti per una famiglia con un disabile a carico?

Mancano soprattutto i servizi domiciliari (infermieristici e riabilitativi). Non che l’offerta sul territorio sia idilliaca – le liste d’attesa per il pubblico sono lunghissime e tante famiglie sono costrette a scegliere strutture private non potendo permettersi di perdere tempo – però almeno stanno nascendo strutture convenzionate che erogano terapie settimanali o mensili (anche se ai bambini come Edo occorrono terapie quotidiane). Ma nel mondo del domicilio – che si richiede quando il bambino non è trasportabile, o il trasporto comporta rischi o sofferenza al disabile – la situazione è ben più tragica: avere le terapie a casa è un privilegio.

Nel breve lasso di tempo in cui Edoardo non aveva terapie riabilitative domiciliari, ma le effettuava in un centro vicino a casa, durante il trasporto Edoardo vomitava, aveva crisi epilettiche, collassava per un’ora, e la terapia diventava inutile.

A causa di questa grossa carenza di aiuti, ci sono famiglie costrette a tenere i figli disabili nel letto, sotto la supervisione di una tata senza competenze, essendo loro fuori casa tutto il giorno per lavoro. Le istituzioni sono enti burocratici che tutto fanno tranne che aiutarci.

Famiglia Belloni-Magatti

Dove avete trovato la forza?

Credo sia una forza di gruppo: la mia forza (di Jessica, ndr) è la forza dell’amore che mi trasmettono mio marito, i miei figli, i nonni, le infermiere, i terapisti che sono diventati di famiglia.

Rimane la rabbia verso le istituzioni che, anziché aiutare, ostacolano

Tutto è cominciato dalla rabbia. Nel 2021 ci hanno chiamato per annunciarci che non ci avrebbero concesso le ore di assistenza e riabilitazione di cui necessitavamo: è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In quel momento abbiamo pensato di costituire l’associazione di cui siamo diventati fondatori, Espera. Siamo partiti dal nulla, sull’onda emotiva dei social, e abbiamo conosciuto un sacco di famiglie con gli stessi nostri bisogni e la stessa nostra rabbia. Perché la rabbia rimane, è una rabbia verso chi ti dovrebbe aiutare ma non ti aiuta, anzi ti ostacola.

Siamo riusciti ad essere felici, a rendere felice nostro figlio, ad allargare la famiglia, ma nonostante lo sforzo, le istituzioni non ci aiutano. Il problema non è la disabilità di nostro figlio, ma il fatto che dobbiamo lottare con tutto e tutti per ottenere quello che è di nostro diritto.

Quanto cambia la vita da genitore di un figlio disabile?

La nostra vita sociale è cambiata drasticamente. Siamo fortunati ad avere amici che ci stanno vicini nonostante la nostra non presenza, non è scontato. Uscite in società nei primi tre anni… Zero! Io (Gabriele, ndr) sono fortunato andando a lavoro, Jessica non esce mai. Come coppia ci siamo concessi tre uscite in un anno.

Gabriele e Jessica

Vi pesa lo sguardo giudicante della società?

Non giudico le persone che ci giudicano perché anche io (Jessica, ndr) prima di Edo non avevo idea di come approcciarmi alla disabilità, ero a disagio, non credevo potessero essere felici. Proprio per questo lo porteremo in una scuola tradizionale. C’è bisogno di conoscere la diversità.

Conoscere la diversità è essenziale, perché quel che non si conosce spaventa

Quando siamo fuori e accendiamo l’aspiratore di saliva di Edo, mi è capitato di vedere qualcuno fissarci come se stessimo facendo chissà cosa. La gente non è abituata a vedere casi di disabilità gravi, al massimo conoscono la disabilità relativa alla sindrome di Down. È uno shock per la gente vedere Edoardo. Tutto quello che non si conosce fa paura.

Certo, ci sono anche le malelingue. “Questa non torna a lavorare perché ha gli aiuti dei genitori”, mi sono sentita dire, come se fossi la bambina viziata che non ha voglia di fare quello che fanno tutte le altre mamme.

Edoardo migliorerà?

Grazie alla riabilitazione, ha inaspettatamente iniziato a camminare sul suo deambulatore e a gattonare sul suo skateboard. In terapia intensiva ci è stato detto – anche in malo modo perché pensavano fossimo dei deficienti o degli illusi – che Edo non avrebbe mai camminato, mangiato, né avuto alcuna funzione cognitiva. Questo ci ha devastato lì per lì, ma non ci siamo arresi. Ok non mangerà, ma ha fatto e continua a fare tantissimi progressi.

Continua a fare tantissimi progressi

Alcuni ci avevano consigliato di fare un secondo figlio, sperando di toglierci il peso così, ma un peso non ce lo togli, anzi dovresti aiutarci a non farlo diventare un peso. Delle modalità alternative ci sono, basta avere i giusti aiuti, le giuste terapie e la giusta visione delle cose.

Ci siamo costruiti una felicità alternativa

La gente non crede che nella disabilità ci sia posto per la felicità. Pensano che stiamo fermi immobili a guardarlo soffrire piangendo. C’è una parte di sofferenza e rabbia, ma che è possibile trasformare in forza e amore come in tutte le famiglie, anche se in una quotidianità differente e alternativa, ma felice.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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