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1 Settembre 2023
9:00

«Non voglio andare a scuola!». Cosa fare se il bambino non vuole andare alla scuola elementare

Come gestire un figlio che alle 7:50 del mattino è in una valle di lacrime perché non vuole entrare a scuola? È importante che il genitore non si demoralizzi e non risponda con la violenza fisica o verbale. La riluttanza verso la scuola è comune nei piccoli, specie dopo le vacanze o un periodo di malattia, anche se non è da sottovalutare. Vediamo qualche consiglio su come affrontarla.

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«Non voglio andare a scuola!». Cosa fare se il bambino non vuole andare alla scuola elementare
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«Non voglio andare a scuola!». Pugni chiusi, lacrime che sgorgano dagli occhi come una fontana, una nenia di urla lamentose che ci perseguitano per casa. Il piccolo – che, più che “piccolo”, ci appare quasi un mostriciattolo inferocito – non ne vuole sapere di vestirsi e andare a scuola. Lui la scuola la odia, ci spiega piangendo. Lui non ha voglia di entrare in classe e vedere la maestra, continua. Lui ci prega di lasciarlo a casa, buttandosi a terra. Come gestire un figlio che non vuole andare a scuola? Innanzitutto, normalizziamo il suo rifiuto: se è limitata a qualche episodio e non diventa un malessere psicologico, una certa riluttanza alla scuola è normale e comune. Diverso è il caso del rifiuto patologico della scuola, che è un disturbo decisamente più raro. Non demoralizziamoci: esistono degli utili consigli per superare la crisi della scuola.

Riluttanza vs Rifiuto scolastico

Un conto è un figlio brontolone, che storce il naso all’idea di alzarsi presto al mattino per andare a scuola e abbandonare il tepore del letto. Un conto è, invece, il rifiuto patologico della scuola, caratterizzato da un forte senso di angoscia alla prospettiva di andare in classe. Sono due questioni diverse.

«Non ho voglia di andare a scuola»

Chi di noi, da piccolo, non ha mai aperto gli occhi, almeno una volta, pensando: «Uffa, non ho voglia di andare a scuola oggi!»? Magari, avevamo una verifica o un’interrogazione in programma, o semplicemente avremmo preferito dormire o trascorrere la mattinata a guardare i cartoni in tv. I momenti più critici, in cui l’indolenza del piccolo è più acuta, possono coincidere con gli inserimenti scolastici, con il ritorno a scuola dopo le vacanze, dopo un periodo di malattia o più semplicemente per una inflessione motivazionale durante l'anno scolastico.

Tuttavia, anche se si tratta di capricci, non va sottovalutato il malessere del bimbo. Anche perché le loro crisi potrebbero essere fonte di stress per lo stesso genitore, che comincia la giornata tra pianti e urla, scendendo a compromessi con il figlio per convincerlo a muoversi dalla soglia di casa.

Se il piccolo sta rientrando a scuola dopo le vacanze estive o di Natale, o dopo aver trascorso tanti giorni a casa con i genitori, i nonni o la tata per malattia, è normale che sia svogliato all’idea di tornare alla vecchia routine. È bene, quindi, che il genitore la viva come una fase di passaggio del figlio, destinata a finire. Anzi, è opportuno che lo aiuti nel vedere il lato positivo e viverla serenamente, senza ignorarlo e, viceversa, senza preoccuparsi eccessivamente di fronte alle sue crisi.

Fobia scolare

Diverso è il caso di un rifiuto psicologico all’idea di andare a scuola, chiamato dagli psicoterapeuti fobia scolare. Si tratta di un disturbo decisamente più raro, che riguarda circa l’1-5% dei giovani in età scolare. In casi di questo tipo, il livello di ansia e di paura al pensiero di andare e restare a scuola compromette in modo significativo la frequenza scolastica, causando ripetute assenze di breve e lungo termine.

Si può presentare in concomitanza con dei cambiamenti evolutivi, come il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola elementare (5-6 anni) e dalla scuola elementare alla scuola media (10-11 anni).

I sintomi tipici compaiono già la sera prima o prima di entrare a scuola e consistono in disturbi del sonno e segnali somatici di panico, come, tra i più comuni, vertigini, tremori, mal di testa, diarrea, nausea. La fobia sociale, che può insorgere per svariati motivi, viene curata con l’aiuto di un terapeuta e va gestita informando la scuola.

Consigli utili

Non esiste il manuale del “genitore perfetto”. Tuttavia, pedagogisti e psicologi consigliano delle buone pratiche da mettere in campo nel momento in cui il bambino non ha voglia – non per fobia – di andare a scuola e arriva in classe malvolentieri. Vediamone alcuni.

Cosa fare

  • Creare una routine serale e mattutina, che renda piacevole al bimbo l’idea della scuola, con giochi e rituali da ripetere quotidianamente
  • Ascoltare il piccolo, i suoi racconti, le sue esigenze, creando un clima disteso. La speranza è che il bimbo si apra con l’adulto, spiegando, magari, i motivi per cui è riluttante ad entrare in classe. Sommergerlo di domande all’uscita da scuola non è la strategia corretta, anzi, è controproducente. Piuttosto, ha senso metterlo a suo agio, creare un’intesa con lui, lasciandogli lo spazio per raccontare quello che non va
  • Mantenere una posizione ferma, evitando però di ricorrere alla violenza verbale o fisica. È opportuno spiegare al piccolo con calma perché è importante andare a scuola e quali sono gli aspetti positivi
  • Mostrarsi sereni al suo ingresso a scuola, manifestando entusiasmo e curiosità per la giornata che lo aspetta, perché, probabilmente si divertirà, imparerà nuove nozioni, giocherà con i compagni

Cosa non fare

  • Fare paragoni con i compagni, lodando gli altri per screditare lui
  • Preoccuparsi eccessivamente per la sua riluttanza. La paura dell’adulto rischia di peggiorare la condizione del piccolo
  • Ignorare totalmente le lamentele del piccolo
  • Caricarlo di ansie sulle prestazioni scolastiche
  • Dare raccomandazioni del tipo “comportati bene”, “fai il bravo”, utilizzando, al loro posto, un augurio di buona giornata
  • Criticare gli insegnanti, dando la colpa a terzi dell’indolenza del piccolo
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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