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7 Marzo 2023
18:00

Cos’è il certificato europeo di filiazione e in che modo renderebbe l’Europa più inclusiva

L'UE sta discutendo la possibilità di rilasciare un documento che consenta alle famiglie omogenitoriali di beneficiare anche in tutti gli altri Stati membri dei diritti acquisiti nel proprio Paese. Per i genitori italiani però non cambierebbe granché...

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Cos’è il certificato europeo di filiazione e in che modo renderebbe l’Europa più inclusiva
Famiglie omogenitoriali

Un documento unico in grado di provare la filiazione dei minori e garantire ai genitori residenti in Unione Europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli in tutti gli Stati membri. È questa l'idea dietro dietro la proposta avanzata lo scorso 7 dicembre 2022 dalla Commissione Europea per riformare le regole in materia di diritto internazionale privato introducendo un nuovo certificato europeo di filiazione che possa conferire maggiore uniformità e allargare il ventaglio di tutele per le famiglie omogenitoriali.

Ma in cosa consiste esattamente questa novità? E cosa cambierebbe per le famiglie italiane? Cerchiamo di fare un po' di chiarezza.

Cos'è il certificato europeo di filiazione

Fin dagli albori della sua creazione, l'Unione Europea si è sempre preposta l'obiettivo di garantire la libera circolazione dei suoi cittadini e tutelarne i diritti fondamentali. Naturalmente questo si riverbera anche sulla preservazione della famiglia, considerata un'istiuzione fondamentale per lo sviluppo e l'evoluzione della società.

In termini di legge, ciò si traduce con il fatto che tutti gli altri Stati UE sono tenuti a riconoscere lo status di genitore i papà e le mamme europee che, per svariate ragioni, si trovano a dover spostarsi o seguire interessi di varia natura al di fuori dal Paese dove tengono la cittadinanza. Non tutte le famiglie però sono composte allo stesso modo. Le stesse regole valgono anche per le coppie omosessuali con figli? Cosa accadde se un nucleo omogenitoriale si sposta in un Paese – come l'Italia – dove questo tipo di famiglia non è riconosciuto?

Quando si parla di famiglie omogenitoriali, Paesi come l'Italia, l'Ungheria o la Polonia registrano un solo genitore. L'altro non ha diritti legali sul figlio

Attualmente, le famiglie con genitori dello stesso sesso vengono tutelate anche negli Stati che non li riconoscono formalmente per questioni come l'accesso al territorio o il diritto di soggiorno. Per por poter godere pienamente di tutto ciò che giuridicamente già spetta alle famiglie "tradizionali" però, spesso è necessario ottenere ulteriori riconoscimenti passando per lunghi (e costosi) procedimenti amministrativi, i cui risultati non sempre si concludono con un risultato positivo.

Il cambiamento proposto a Bruxelles, invece, punta alla creazione di un certificato (facoltativo ma da richiedere in base alle necessità) grazie al quale la genitorialità ottenuta da parte delle coppie omosessuali possa essere pienamente riconosciuta anche nei Paese dell’Unione differenti da quello di cittadinanza, consentendo loro di accedere ai benefici (e dai doveri) previsti dal diritto nazionale in materia di genitorialità.

In parole povere, una coppia omosessuale con passaporto spagnolo potrebbe stabilirsi in Italia e, grazie al certificato che attesti il rapporto di genitorialità, godere di ogni riconoscimento per questioni come l'affidamento, il diritto di rappresentanza legale del minore, questioni di eredità o la semplice firma per predisporre il ricovero in ospedale di un figlio.

Al momento però, è bene ricordarlo, si tratta solo di una proposta che deve essere discussa e approvata dal Consiglio Europeo.

L'obiettivo principale: tutelare l'interesse dei figli

Tale cambiamento delle regole europee viene auspicato per «tutelare i diritti fondamentali dei figli, a garantire la certezza del diritto per le famiglie e a ridurre i costi e gli oneri processuali», come cita il portale istituzionale della Commissione Europea.

Infatti, benché il rispetto della dignità personale del genitore rimanga un valore sacrosanto e inalienabile, l'iniziativa punta prima di tutto a garantire il best interest of the children, quell'interesse superiore dei bambini sancito dal terzo articolo della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.

"In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente".

E quale modo migliore per garantire tutto questo se non consentire ad un bambino di vivere in una famiglia che goda di pieno riconoscimento?

In Italia cosa cambierebbe?

Come molte delle disposizioni nate in seno alla UE, il certificato di filiazione non intacca le normative relative al diritto di famiglia dei singoli Stati, il quale resta affare esclusivo dei rispettivi apparati nazionali.

In più, anche qualora venisse effettivamente adottata dal regolamento UE, questa nuova forma di tutela riguarderebbe i genitori già registrati nel proprio Paese, escludendo dunque le migliaia di madri e padri che vivono in Italia, dove una legge per il riconoscimento delle famiglie omogenitoriale continua ad essere assente dal panorama giuridico.

Famiglie omogenitoriali in Europa

Certo, l'introduzione di una simile norma potrebbe forse offrire un escamotage per recarsi all'estero, ottenere il riconoscimento e tornare in Italia forti del certificato europeo, ma si tratterebbe comunque dell'ennesimo ripiego che andrebbe a gravare le famiglie interessate con importanti sforzi sia dal punto di vista burocratico e logistico, che da quello economico.

Al netto dei suoi limiti però, la novità contribuirebbe comunque a migliorare a livello internazionale le condizioni delle famiglie con genitori dello stesso sesso, ponendo in ulteriore imbarazzo Paesi come l'Italia in cui i numerosi solleciti in materia di riforme progressiste in materia di riconoscimenti per le famiglia LGTBQIA+ continuano a cadere nel vuoto.

A tal proposito si è espressa recentemente anche la presidente dell'associazione Famiglie Arcobaleno Alessia Crocini, la quale è stata invitata ad intervenire in Senato nel corso della seduta del 20 febbraio in relazione all’esame dell’atto COM(2022) 695 proprio in materia di filiazione e creazione di un certificato europeo di filiazione.

«Una famiglia formata da due madri o due padri, riconosciuta come tale in paesi quali la Francia, la Spagna, la Germania, così come in tutti i 19 paesi europei dove le famiglie omogenitoriali sono riconosciute, non deve e non può smettere di essere famiglia quando varca un confine e arriva in paesi come l’Ungheria, la Bulgaria, la Polonia, la Romania o l’Italia – ha dichiarato – Se l’Italia vuole essere degna di far parte dell’Unione europea, se si considera un paese civile che non calpesta i diritti dei minori e delle minoranze, se non vuole continuare ad essere accomunata a paesi a rischio democrazia, che hanno già istituito zone LGBT free e mettono in atto una costante persecuzione delle persone LGBTQIA+, deve votare e sostenere questa proposta e allo stesso tempo approvare al più presto una legge sul matrimonio egualitario e sul riconoscimento dei figli alla nascita per le coppie dello stesso sesso».

E l'Italia cosa ne pensa?

Quanto discusso dal Parlamento Europeo ora passerà al vaglio dei singoli Paesi, i quali dovranno stabilire sul recepire o meno la proposta UE.

Dall'Italia però, il coro di voci contrarie alla questione si è già alzato dai banchi del centro-destra. Lo scorso 22 febbraio infatti, 11 firmatari di Lega e Fratelli d'Italia appartenenti ai gruppi conservatori europei (Conservatori e Riformisti europei e Identità e Democrazia) hanno avanzato una richiesta di risposta scritta alla Commissione Europea con l'obiettivo di sollevare alcune perplessità sui temi chiave del nuovo regolamento.

«Garantire la libera circolazione dei minori con i propri genitori nell'UE è essenziale – si legge nel documento –  tuttavia, la proposta rischia di minare principi come la sussidiarietà e la proporzionalità, sfociando nell'influenza, diretta o indiretta, di ciò che rappresenta la genitorialità per ciascuno Stato membro, e quindi la famiglia, senza che l'UE abbia alcuna competenza in merito».

Da qui la richiesta di chiarimenti sull'incidenza giuridica dei casi di mancato riconoscimento transfrontaliero della genitorialità nell'UE e il modus operandi previsto per tutelare gli Stati membri che vietano il cosiddetto "utero in affitto", termine volutamente dispregiativo per indicare la Gravidanza per Altri (GPA) che lo stesso partito del Presidente Giorgia Meloni vuole contrastare con maggiore severità con una recente proposta di legge per perseguire i cittadini italiani che vi fanno ricorso all'estero, anche negli Stati in cui è legale, sicura e regolamentata. Il timore dei conservatori è infatti che il nuovo certificato possa sdoganare «la maternità surrogata, l'omogenitorialità e, potenzialmente, in prospettiva, anche la multigenitorialità».

Ed è del 7 marzo però l'ultimo intervento nel merito da parte di Carla Garlatti, Garante per l’infanzia e l’adolescenza che si è espressa in seguito alla convocazione da parte della Commissione politiche dell’Unione europea del Senato.

«La proposta di Regolamento europeo non si occupa di diritto di famiglia interno, che resta di esclusiva competenza dello Stato italiano – sottolinea Garlatti –  Si preoccupa, invece, di chiarire gli aspetti relativi a quali norme applicare per l’accertamento e il riconoscimento della filiazione sul piano transnazionale. E questo, a mio giudizio, lo fa nel pieno rispetto della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in particolare del principio che a prevalere debba essere l’interesse del minore».

A detta del garante per l'infanzia, dunque, il certificato europeo di filiazione non agevolerebbe in alcun modo la pratica della GPA, poiché il documento non comporterebbe il riconoscimento automatico della genitorialità, che sarebbe contrario alla legge italiana sia per le coppie eterosessuali che per quelle omosessuali.

«Il Regolamento, tuttavia, non si discosta da ciò che a livello interno è stato affermato dalla giurisprudenza – conclude – compresa quella costituzionale, allo scopo di garantire comunque la tutela del minore nato da maternità surrogata». Minore sul quale, ci tiene a precisare Garlatti, non devono però ricadere le conseguenze delle scelte dei suoi genitori.

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Niccolò De Rosa
Redattore
Dagli studi umanistici all'esperienza editoriale, sempre con una penna in mano e quel pizzico d'ironia che aiuta a colorare la vita. In attesa di diventare grande, scrivo di piccoli e famiglia, convinto che solo partendo da ciò che saremo in grado di seminare potremo coltivare un mondo migliore per tutti.
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