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1 Marzo 2023
15:40

Denatalità, un problema italiano: perché non si fanno più figli? Intervista alla Prof.ssa Vitali

L'Italia ha un grosso problema di denatalità che in futuro potrebbe portare perfino al collasso del sistema pensionistico. ma qual è esattamente la situazione demografica del nostro Paese? E perché le politiche attuate finora si sono dimostrate poco efficaci nell'aiutare gli italiani a fare figli?

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Denatalità, un problema italiano: perché non si fanno più figli? Intervista alla Prof.ssa Vitali
In collaborazione con Agnese Vitali
Professoressa Associata di Demografia presso l’Università di Trento
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L’Italia è un Paese per vecchi, dove si muore più tardi ma si nasce anche (molto) meno. E in futuro questa tendenza di denatalità (decremento delle nuove nascite) andrà ad accentuarsi sempre di più, con il serio rischio che la forza lavoro attiva possa risultare insufficiente a garantire le pensioni di domani. A dirlo, purtroppo, non è l'ennesima Cassandra portatrice di sventure, ma un un report ISTAT del settembre 2022 sulle previsioni demografiche dei prossimi anni che fotografa una nazione in cui la decisione di avere dei figli appare sempre più come una sfida dalle mille difficoltà.

Cosa dicono i numeri?

I dati raccolti hanno confermato un trend di costante invecchiamento della popolazione italiana, con un tasso di fecondità (numero medio di figli per donna in età feconda) sempre più basso che nel 2049 potrebbe portare i decessi ad essere il doppio delle nascite.

«Le nuove previsioni sul futuro demografico del Paese, aggiornate al 2021, confermano la presenza di un potenziale quadro di crisi. La popolazione residente è in decrescita: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 a 57,9 mln nel 2030, a 54,2 mln nel 2050 fino a 47,7 mln nel 2070. Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050»

I motivi dietro numeri così impietosi? Calano le coppie con figli, aumentano inesorabile le famiglie “unipersonali” e i contesti economico-sociali generano un netto divario tra il numero medio di figli desiderati ed il numero medio di bambini che effettivamente vengono messi al mondo.

«Esistono molte indagini sia nazionali che internazionali che chiedono ai rispondenti “Quanti figli vorresti avere?” – ci spiega Agnese Vitali, Professore Associato di Demografia presso l’Università di Trento – La maggioranza degli italiani, e degli europei in generale, risponde che vorrebbe due figli. Poi però, mentre in alcune nazioni come la Francia o i Paesi scandinavi si fanno effettivamente in media due figli, la media italiana oscilla tra gli 1,3 e gli 1,4 figli per coppia da oltre 40 anni».

Il ruolo degli stranieri

In un simile quadro dalle tinte piuttosto fosche, è ancora vero che sono gli stranieri ad offrire un maggior contributo alla natalità? Sì, ma dipende da dove vengono. Chi arriva dall’Est, infatti, proviene da Paesi con una natalità più bassa di quella italiana. Inoltre tra questi vi sono tante persone non più in età fertile, come le tante badanti che giungono in Italia per curare i nostri anziani. Chi viene dall’Africa o dal Medio Oriente invece mediamente fa più figli degli italiani.

La popolazione italiana, senza gli stranieri, diminuirebbe ancora di più

Come si evolverà la questione? «L’Italia ha una storia di migrazione troppo breve per raccogliere un dato statistico valido – afferma Vitali – però guardando in altre nazioni si nota come nel corso delle generazioni anche gli stranieri tendano ad adattarsi al contesto».

Rimane il fatto che la popolazione italiana, senza gli stranieri, diminuirebbe ancora di più.

Come mai non si fanno più figli?

Le ragioni dietro questo trend sono da ricercare non solo nelle condizioni economiche certo non felicissime in cui il nostro Paese versa dalla crisi del 2008, ma anche da una serie di cambiamenti strutturali della società che negli anni hanno contribuito a ridefinire notevolmente le prospettive delle nuove generazioni.

La società moderna è profondamente diversa da quella di 50 anni fa, ma le istituzioni non sembrano accorgersi di questo cambiamento

«Un tempo la famiglia era una scelta irreversibile: si usciva dalla casa natale, ci si sposava e si restava sposati (a lungo non è esistito nemmeno il divorzio). Oggi invece ci sono tante famiglie diverse e tutto è reversibile: si lascia la casa dei genitori anche per studiare, poi si torna, magari si va a convivere, poi ci si lascia, s’inizia una nuova relazione, si possono fare figli con diversi partner…Insomma, è tutto un po’ più complicato» afferma Vitali.

Le donne e il mondo del lavoro

Fra tutti questi mutamenti, naturalmente, il più impattante è stato l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, dettato sia da una sacrosanta volontà di emancipazione e indipendenza, che dalla necessità di portare uno stipendio in più a casa.

Tutto ciò ha comportato una redistribuzione del tempo e degli impegni che in molti casi rende complicata la conciliazione tra lavoro e cura dei figli, soprattutto per le madri, sulle quali ancora oggi spesso ricadono la maggior parte dei doveri educativi e “logistici” (spesa, faccende domestiche, trasporto dei bimbi etc…).

Nuove priorità

Anche il generale mutamento del mercato del lavoro, sempre più frenetico e instabile, e del sistema valoriale ha indubbiamente spinto i giovani “moderni” a dotarsi di nuove priorità: l’individualismo, la ricerca di autodeterminazione e la volontà di ottenere una sicurezza economica prima di mettere su famiglia, hanno inevitabilmente posticipato il momento in cui un adulto inizia a sentirsi pronto per diventare genitore.

Coppie omosessuali e PMA

«I primi a sperimentare questo cambiamento sono stati i Paesi scandinavi, poi sono arrivati da noi, negli Stati Uniti e in alcune parti dell’Asia, con un conseguente ritardo dal punto di vista normativo» continua Vitali. In Italia, ad esempio, ancora oggi le restrizioni in materia di matrimoni omosessuali (inesistenti, esistono solo le unioni civili) e di accesso alla PMA (Procreazione Medicalmente Assistita), pongono ulteriori ostacoli ad una fetta di popolazione che non può avere figli, ma che ne vorrebbe.

mamma lavoratrice al computer denatalità

Le possibili soluzioni

Per invertire la rotta e supportare la natalità, purtroppo, non esiste una formula scientifica chiara ed univoca. Tuttavia alcune scelte politiche (ed economiche) potrebbero sicuramente migliorare le condizioni di partenza per facilitare la scelta di mettere al mondo una nuova vita. Quali?

Adeguamento dei congedi parentali

In Italia il sistema di congedi è stato ritoccato nel luglio del 2022, ma si è trattato solamente di un adeguamento dettato dalla normativa europea che ha aumentato a 10 giorni il congedo obbligatorio per il padre. In alcuni Paesi come Svezia e Finlandia, invece, sono in atto sperimentazioni dove i congedi materni e paterni sono uguali e tutti ne usufruiscono. Da noi invece, spesso i papà non si avvalgono nemmeno dei giorni di congedo di paternità che spetterebbero loro per legge.

La maggiore uguaglianza tra congedi materni e paterni poi, avrebbe anche l’utilità di alleggerire le responsabilità delle mamme, sulle spalle delle quali attualmente pesa la quasi totalità delle incombenze dovute alla cura dei bimbi nei primi anni di vita.

Incentivi e sostegni alle famiglie

Attualmente la principale misura di sostegno alle famiglie italiane è rappresentata dall’assegno unico universale che stabilisce un contributo economico mensile alle famiglie in base al numero dei figli a carico (fino ai 21 anni) e ai parametri ISEE. Tale strumento d’indubbia utilità, non risolve però il cuore problema trattandosi, come riferisce Agnese Vitali citando la sua collega sociologa Chiara Saraceno, «di una misura a contrasto della povertà, non a sostegno della natalità».

Occorrono dunque nuove iniziative, più capillari e strutturate, per intercettare i bisogni delle famiglie, come orari lavorativi flessibili, facilità d’accesso ad asili e asili nido e sostegni economici mirati per le diverse realtà sociali.

Denatalità asilo
Asili e nidi più accessibili e presenti sull’intero territorio nazionale fornirebbe un grande aiuto alle famiglie e, dunque, sarebbe una forma di contrasto alla denatalità.

Welfare aziendale

Le aziende possono giocare un ruolo importante adottando politiche di smartworking, contratti con orari flessibili (o ridotti), nidi interni per i figli dei dipendenti, assistenze mediche che coprono anche familiari o procedure mediche particolari. Tuttavia spesso sono solo i colossi o le start-up visionarie a potersi permettere simili misure.

Apertura alla PMA e alle famiglie “non tradizionali”

Secondo la stessa Vitali, una legge più aperta e moderna in materia di PMA sarebbe molto utile in un Paese in cui l’età media di una donna che mette al mondo il primo figlio è la più alta in Europa.

«Il contesto economico-sociale spinge le persone a ritardare la nascita di un figlio, allungando i tempi talvolta fino ad età in cui non è più possibile procreare facilmente con metodi naturali. La fertilità femminile diminuisce drasticamente dopo i 35 anni, e per gli uomini a 40 anni: purtroppo questa è proprio la fascia d’età in cui molto italiani si sentono finalmente pronti a diventare genitori. A questo punto che fare?»

La PMA sembrerebbe una risposta valida, ma con le normative attuali le pratiche risultano nella maggioranza dei casi a pagamento e non tutti se la possono permettere. Senza parlare poi del fatto che oggi molte persone non hanno proprio la possibilità di accedere alle tecniche di procreazione assistita: sono le famiglie arcobaleno e i genitori single, autentici fantasmi per la legge italiana che però esistono e vorrebbero poter esercitare il diritto di regalare tutto il loro amore ad un’altra vita (in maniera legale e nel loro Paese)

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Niccolò De Rosa
Redattore
Dagli studi umanistici all'esperienza editoriale, sempre con una penna in mano e quel pizzico d'ironia che aiuta a colorare la vita. In attesa di diventare grande, scrivo di piccoli e famiglia, convinto che solo partendo da ciò che saremo in grado di seminare potremo coltivare un mondo migliore per tutti.
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