video suggerito
video suggerito
3 Marzo 2023
11:00

I bambini con DSA in Italia, tra disinformazione e bisogni negati: l’intervista al Prof. Giacomo Stella

Abbiamo intervistato Giacomo Stella, psicolinguista e tra i massimi esperti italiani di dislessia, per capire cosa sono i DSA, come vengono diagnosticati e in che modo vengono gestiti dalla la scuola italiana.

14 condivisioni
I bambini con DSA in Italia, tra disinformazione e bisogni negati: l’intervista al Prof. Giacomo Stella
In collaborazione con il Dott. Giacomo Stella
Psicologo e psicolinguista, fondatore dell'Associazione Italiana Dislessia
DSA

In Italia ci sono migliaia di ragazzi che, pur non presentando alcun malfunzionamento cognitivo, faticano a leggere, si confondono facendo i conti e riempiono i compiti di errori d'ortografia. Studenti svogliati? Inguaribili somari? No, sono solo bambini e bambine che soffrono di un DSA, un disturbo specifico dell'apprendimento come la discalculia, la disgrafia o la più conosciuta dislessia.

In questi ultimi anni la ricerca e la stessa società hanno fatto passi da gigante nel riconoscimento e nella gestione di questa condizione, tuttavia tra i banchi di scuola avere un DSA è ancora motivo d'importanti carenze delle competenze essenziali, disagi e, non così raramente, vere e proprie discriminazioni. Ma quali sono di preciso i DSA? Come vengono diagnosticati? E perché il mondo scolastico si mostra ancora inadeguato nell'accoglienza di questi bisogni particolari?

Per fare un po' di chiarezza ci siamo rivolti a Giacomo Stella, psicologo e psicolinguista, fondatore dell'Associazione Italiana Dislessia, nonché uno tra i massimi esperti italiani in materia di DSA.

Cos'è un DSA?

I DSA sono Disturbi Specifici dell'Apprendimento, ossia disturbi del neuro-sviluppo che rendono più difficoltoso l'apprendimento andando a rallentare alcune abilità come la lettura (dislessia), la scrittura (disgrafia e disortografia) e il calcolo (discalculia).

Naturalmente questo non significa che chi ne è soggetto risulti meno intelligente (anzi, spesso è proprio il contrario), ma indica semplicemente un modo differente di lavorare e imparare da parte del cervello.

«Fino a poco tempo fa l’idea prevalente era che se un bambino non andava bene a scuola, il motivo doveva risiedere per forza in un problema di motivazione. – spiega Stella – Per carità, gli allievi svogliati esistono, ma nelle prime fasi dell’apprendimento scolastico i bambini tendono ad essere mossi dalla curiosità della scoperta quindi, per la mia esperienza, quando un bambino di prima elementare “non ne ha voglia” , in realtà significa che c'è qualche problema. Magari potrebbe non essere un problema d’apprendimento, ma comunque c’è qualcosa che non va».

A differenza dei casi di menomazioni o patologie che alterano le facoltà cognitive però, i disturbi del neuro-sviluppo non presentano sintomi visibili né rapporti di causa-effetto tra una menomazione e un danno funzionale, ma dipendono da anomalie di tipo citoarchitettonico sulla corteccia cerebrale, ossia piccole alterazioni nella struttura delle connessioni cerebrali.

«Queste anomalie sono determinate da minuscole modificazioni su base genetica che influenzano la migrazione neurale, ossia la costruzione delle connessioni tra neuroni. Non si tratta dunque di lesioni lesioni, ma di condizioni differenti come accade con i gemelli omozigoti», prosegue il professore. Anche le coppie gemellari ritenute identiche presentano sottili differenze somatiche che permettono ai genitori di distinguerli, e così anche nel cervello esistono discrepanze molto piccole ma effettivamente determinanti.

«È scienzama nella scuola è ancora molto diffuso il comun sentire del “Non ci credo, io ho 40 anni d’esperienza e ti dico che quello non ha voglia”. Forse sarebbe il caso di contrastare con maggiore efficacia questa disinformazione da parte di alcuni insegnanti».

La diagnosi di DSA

Dopo anni di ricerche e studi da parte della comunità scientifica, dal 2011 esistono delle linee guida dell’ISS che stabiliscono criteri e modalità per una valutazione finalizzata a capire se un individuo presenti un DSA o meno.

Questo test è molto complesso, richiede alcune ore e s'interessa d'indagare diversi aspetti che qui proveremo a riassumere in un prospetto semplificato.

Livello intellettivo

Prima di tutto bisogna essere sicuri che il soggetto sia intelligente, ossia capace d‘intelligere, comprendendo e rielaborando le informazione che riceve. Per farlo è necessario saggiare alcune abilità essenziali, distinguendo la componente verbale dalla componente logico-intuitiva, dalla memoria e dalla rapidità d’esecuzione che esprime l’automatizzazione di una certa funzione. Insomma, ci vuole molto tempo anche solo per impostare le basi dell’analisi.

Spesso l'intero esame tutto viene fatto in un solo giorno, anche per comodità per la famiglia.

«Esiste un profilo tipico del bambino o della bambina soggetti a DSA. – afferma Stella – Intelligenza verbale e logica sopra il 100 (in termini di Quoziente intellettivo, n.d.r.), ma memoria di lavoro e velocità d’elaborazione discrepanti». Tale differenza tra le varie aree d'applicazione cognitiva impediscono infatti al ragazzo di esprimere tutte le propre potenzialità intellettive.

«Possiamo vedere l’intelligenza cerebrale come un motore: in questo esempio il cervello rappresenta il motore con una grande cilindrata, ma memoria di lavoro e velocità d’elaborazione sono le trasmissioni e le ruote: se queste presentano qualche problema, l’auto, benché potente, non corre come potrebbe».

Ciò significa che un bambino intelligente ma con una limitata memoria di lavoro e velocità d'elaborazione, finisce per sviluppare un deficit di autonomia operativa e a scuola non rende come dovrebbe. «L'autonomia dipende dai contesti e infatti spesso gli alunni DSA rendono molto con l’insegnante personale e poco in classe».

Linguaggio

Una volta appurate le facoltà intellettive del ragazzo o della ragazza, occorre testare non solo la capacità di pronunciare le parole, ma anche appurare che il lessico sia sviluppato adeguatamente e che la comprensione sintattica sia adeguata.

dislessia

Questo aspetto spesso passa in secondo piano perché nel quotidiano tutti noi utilizziamo un tipo linguaggio (linguaggio deittico per usare il termine specifico) che, avvalendosi del contesto e della gestualità, riesce inconsapevolmente a colmare eventuali lacune nella formulazione delle frasi, portandoci a non accorgerci di eventuali problemi.

Proviamo ad essere più chiari: vi è mai capitato di dire "Passami il coso per favore" e vedervi allungare proprio l'oggetto richiesto? In quel caso la frase di per sé non forniva informazioni sufficienti alla comprensione, ma l'ambiente circostante e il gesto usato per indicare l'oggetto in questione aveva compensato tale mancanza.

Ciò è molto utile nella vita di tutti i giorni, ma può nascondere un'effettiva incapacità linguistica alla cui base potrebbe risiedere proprio un DSA.

Abilità

L'ultimo step prevede infine la valutazione di tre abilità che spesso risultano rivelatrici di un DSA (dislessia, disgrafia, disortografia o discalculia).

  • Lettura
  • Scrittura
  • Calcolo

«I genitori non sono presenti alla valutazione ma, almeno nella fase finale, mi piacerebbe ci fossero gli insegnanti, anche se spesso ciò risulta molto difficile per questioni burocratiche e logistiche. – commenta Stella – Sarebbe importante perché quelle volte che è successo è stato molto utile per mostrare aspetti del problema che venivano percepiti ma di cui non si comprendeva la natura».

Scuola e DSA in Italia: l'opinione dell'esperto

Nel nostro Paese il fenomeno relativo alle certificazioni DSA appare in crescita, riguardando circa il 5% della popolazione. Come però spesso accade in tantissimi settori, anche qui gli addetti ai lavori sottolineano un netto divario tra Nord e Sud, dove in alcune regione l'incidenza di DSA fatica a raggiungere l'1%soprattutto a causa di una grave mancanza di servizi (anche privati) di certificazione.

dislessia e aiuto DSA

Per Giacomo Stella però, la penuria di certificazioni non rappresenta l'unico problema relativo alla gestione dei DSA all'interno del mondo scolastico. Secondo il professore infatti, l'ostilità di alcuni docenti nei confronti della tematica comporta un mancato adattamento didattico e una sottovalutazione della questione.

«La scuola è rimasta rigida, sia nei metodi che nelle tempistiche: si vuole che tutti imparino allo stesso modo e negli stessi tempi e questo vale per qualsiasi ordine scolastico».

Ciò avrebbe un diretto effetto anche sul numero delle diagnosi, spesso tacciate di essere eccessive e inutili nelle tanto familiari chiacchiere da bar: «Il problema dei numeri in crescita è determinato proprio dall’aumento della rigidità della scuola. I DSA aumentano perché subentrano quelli che chiamo "i disturbi dell’insegnamento". – sottolinea il professore – Riporto qualche esempio. Oggi molti bambini tendono a scrivere in maiuscolo. Le scuole però impongono il corsivo e richiedono certificazione di disgrafia per concedere che un allievo scriva in stampatello. La scuola secondo me dovrebbe preoccuparsi della correttezza ortografica, non della calligrafia».

Ma se il DSA riguarda le abilità di calcolo?

Giacomo Stella riporta un ulteriore esempio: «Può succedere che un bambino non impari le tabelline, ma per poter utilizzare la tavola pitagorica serve una certificazione. Ma siamo matti? Io alle elementari avevo la tavola pitagorica in fondo a tutti i quaderni e sono riuscito a diventare professore universitario. Tale atteggiamento rischia di trasformare la diagnosi di DSA un modo per scaricare il problema ma che, purtroppo finisce per discriminare lo studente».

L'importanza degli strumenti compensativi

Tablet, computer, programmi di sintesi vocale, calcolatrici, tavole pitagoriche e mappe concettuali sono tutti strumenti compensativi, ossia mezzi di supporto che servono ad aiutare la realizzazione delle abilità del ragazzo e guidarlo nell'elaborazione delle informazioni ricevute, evitando così che rimanga indietro rispetto ai propri compagni nel processo di apprendimento.

Tablet e DSA

Il loro utilizzo è previsto della legge 170 che regolamenta la gestione dei DSA nelle aule scolastiche, eppure non sempre è così facile concordare una strategia didattica che consenta agli alunni di poter esprimere appieno il loro potenziale.

«Molto spesso i docenti contestano l'utilizzo degli strumenti compensativi durante i momenti di verifica. Non lasciare le mappe concettuali durante le verifiche, però, non ha senso: e il ragazzo ne ha bisogno perché ha problemi di memoria e quindi ha bisogno di supporto esterni di memoria? Le tabelle di memoria non sono riassunti, non sono bignamini.

Spesso infatti si confondono questi supporti con degli aiuti, delle stampelle. Le stampelle però non aiutano a camminare meglio, mentre gli strumenti compensativi, col tempo, puntano a facilitare l'autonomia dei ragazzi.

«Certo, – specifica Stella – dipende dalla severità del disturbo, tuttavia nei DSA si tende sempre, sottolineo sempre, a migliorare, a compensarsi, perché, ripeto anche questo, non sono lesioni, ma anomalie citoarchitettoniche. Negli anni quindi il cervello impara a organizzarsi e alla fine, a risultare più efficiente. Ma ci vuole tempo».

Una possibile soluzione: la scuola tech e non competitiva

L'attuale organizzazione del comparto scolastico non sembra dunque sufficientemente inclusiva per il professor Stella, il quale negli anni ha elaborato un modello didattico alternativo, basato sul tempo pieno e un'uso libero degli strumenti compensativi.

Per Giacomo Stella la scuola attuale si professa inclusiva, ma nei fatti non lo è per niente

«Ho già provato a realizzare questa visione all'interno di una scuola media paritaria dove alla fine, strano, ma vero, i ragazzi andavano volentieri in classe»

Il punto di partenza di questa proposta formativa, risiedeva dalla ferma volontà di evitare il processo di delega alle famiglie. Spesso infatti quando uno studente non riesce ad ottenere buoni risultati, la patata bollente passa ai genitori, i quali o sono costretti a seguire personalmente i figli (e non è detto che tutte le madri o i padri ne siano in grado) o ricorrono all'insegnante di ripetizioni.

Nella visione di Stella, invece, la scuola dovrebbe adottare un tempo pieno per cui, dopo le ore di lezioni, i ragazzi avrebbero il tempo di fare i compiti ed essere così liberi da impegni una volta tornati a casa. Ma le novità riguarderebbero anche la stessa proposta didattica.

«La scuola media dovrebbe dare più spazio ad attività fisiche ed espressive. Nella forma attuale, con sei ore compresse nella mattinata e mille materie, finisce per essere ostile all'apprendimento».

L'ultimo strale riguarda infine l'atavica diffidenza nei confronti della tecnologia, annacquatasi leggermente dopo l'introduzione d'importanti novità come la LIM (lavagna interattiva multimediale), ma ancora piuttosto pronunciata quando si parla tablet o pc in classe.

«In questi ultimi anni stiamo assistendo ad un paradosso. Durante il lockdown la Didattica a Distanza era la salvezza, ora però il computer è tornato ad essere una bestia da tenere lontano dalla scuola».

Avatar utente
Niccolò De Rosa
Redattore
Dagli studi umanistici all'esperienza editoriale, sempre con una penna in mano e quel pizzico d'ironia che aiuta a colorare la vita. In attesa di diventare grande, scrivo di piccoli e famiglia, convinto che solo partendo da ciò che saremo in grado di seminare potremo coltivare un mondo migliore per tutti.
Sfondo autopromo
Famiglia significa NOI
api url views