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28 Marzo 2023
9:00

In Germania cliniche per genitori stressati: un toccasana contro il parental burnout

Da anni in Germania esiste la Kur, un ritiro di circa tre settimane in una clinica aperta ai genitori e, a volte, ai figli con meno di 12 anni per staccare la spina e recuperare le energie. La Kur viene prescritta dal medico ed è quasi totalmente a carico dell’assistenza sanitaria. Il datore di lavoro riconosce come malattia i 21 giorni di relax, durante i quali mamme e papà si sottopongono a terapie e si dedicano ad attività rigeneranti come lo yoga.

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In Germania cliniche per genitori stressati: un toccasana contro il parental burnout
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In Germania ai genitori stressati o in esaurimento è concesso per legge di ritirarsi in una clinica per rigenerarsi e trovare sollievo da una quotidianità che li sta mettendo a dura prova. Si chiama «Kur» ed è una soluzione assistenziale che prevede un ritiro di tre settimane per mamme e papà, usufruibile ogni quattro anni, prescritto da un medico e di regola finanziato dall'assicurazione sanitaria. Chi ha figli può ristorarsi e ricaricare le pile sottoponendosi a terapie e attività per recuperare il benessere fisico e psicologico all’interno di specifiche strutture, dove ai genitori sono assicurati i servizi di pernottamento, mensa e assistenza dei figli.

Non è una novità nel Paese europeo: il diritto a staccare la spina e concedersi una pausa dal sovraffaticamento familiare è contemplato dalla riforma sanitaria tedesca del 2000 (riaggiornata nel 2015). I circa 21 giorni di Kur sono riconosciuti come malattia dal datore di lavoro, che continua a pagare lo stipendio al lavoratore per le prime sei settimane, cioè fino a quando a sopperire alle spese del dipendente subentra l’assicurazione sanitaria statale.

Kur: cos’è e cosa prevede il ritiro dei genitori

In Germania, quando un genitore manifesta sintomi di burnout e avverte di essere sull’orlo di un esaurimento, si rivolge al medico curante, che, dopo una valutazione, gli consiglierà la cura e la clinica più adeguate alle sue esigenze. Di norma, le cause scatenanti sono stress, emicrania duratura, mal di schiena, problemi di peso, disturbi emotivi. Si procede con la compilazione della documentazione da presentare al Servizio Sanitario Nazionale (Krankenkasse), che comunicherà al richiedente l’accettazione o il rigetto della domanda. Se il Krankenkasse dà la sua approvazione, la mamma o il papà ha 4 mesi di tempo per sottoporsi alla cura, che è quasi totalmente a carico dall’assicurazione sanitaria, con un contributo di 10 euro al giorno da parte del paziente.

Il genitore può portare con sé il figlio come paziente o accompagnatore

Una volta in struttura, il paziente è sottoposto a una valutazione clinica, in seguito alla quale gli viene prescritto un programma di cura ad hoc, con esercizi fisici, attività come lo yoga e la meditazione, e terapie adatte. Il genitore ha la possibilità di portare con sé il figlio (se minore di 12 anni) come paziente o come accompagnatore ed è tenuto a rispettare uno stile di vita sano ed equilibrato nel periodo di permanenza, che non è una vacanza, ma un ritiro dalla quotidianità caotica per curarsi e prevenire il peggioramento di patologie psicologiche. Anche se viene prescritto per trattare un problema di salute, infatti, il ritiro genitoriale è suggerito come misura preventiva per impedire che disturbi e problemi relativamente lievi cronicizzino e degenerino.

Nella lista delle strutture abilitate come cliniche, figurano anche centri benessere, spa, monasteri e castelli affacciati sul mare o immersi nella natura. Ovviamente, 21 giorni di stop dalla routine non risolvono magicamente i problemi, tuttavia il servizio ha in genere un risvolto positivo e benefici duraturi sulla salute di mamme e papà e sull’atteggiamento dei figli.

Burnout: un fenomeno in aumento

Il 90% dei genitori che si rivolgono alle cliniche tedesche si sottopongono alle cure a causa di disturbi della mente, legati all’ansia, all’insonnia, alla depressione, anche se in tanti lamentano pure dolori al ginocchio, alla schiena e disagi fisici di vario tipo. È il “parental burnout”, un’etichetta utilizzata solo negli ultimi anni per denominare quel crollo emotivo, mentale e fisico vissuto dalle mamme e dai papà sotto stress, che si manifesta in genere con affaticamento e stato di astenia e stanchezza, difficoltà a dormire, sonno disturbato, irritabilità, insofferenza, calo di affettuosità, ansia costante.

In passato i motivi per cui chi aveva figli, in genere madri, sceglievano di ritirarsi temporaneamente dalla vita familiare erano diversi: il Müttergenesungswerk, uno dei primi centri per mamme esauste fondato dopo la seconda guerra mondiale da Elly Heuss-Knapp, politica e moglie del presidente tedesco, accoglieva madri che soffrivano degli effetti della guerra e della malnutrizione, mentre accudivano figli e mariti traumatizzati. Oggi, invece, a spingere i genitori a presentare domanda per il Kur sono i disturbi psicologi, cresciuti significativamente con la pandemia.

Il 66% dei genitori americani è a rischio parental burnout

Quello del burnout genitoriale, che è ormai comunemente ritenuto un sottotipo del più noto burnout scatenato dall’affaticamento lavorativo, non è, ovviamente, un fenomeno esclusivamente tedesco. In Belgio la UCLouvain ha avviato nel 2019 un progetto di ricerca quinquennale per approfondirlo, e un rapporto pubblicato nel maggio 2022 dall’Ohio State University ha messo in luce che il 66% dei genitori americani che lavorano soddisferebbe i criteri per il burnout genitoriale.

Il burnout è stato associato a un decadimento del rapporto fra il genitore che lo sperimenta e il figlio. Si tradurrebbe, nel concreto, in negligenza, incuria e addirittura violenza sul minore da parte dell’adulto, che idealizzerebbe la fuga dall’ambiente domestico. Un disturbo che potrebbe avere ripercussioni parecchio gravi sul benessere dell’intera famiglia e che le cliniche tedesche puntano a risolvere o, almeno, ad alleviare.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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