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23 Febbraio 2024
15:07

Levante racconta la depressione post parto e viene sommersa di insulti: «Non ti hanno obbligata ad avere figli»

La cantautrice Levante è stata travolta da commenti negativi dopo aver rivelato di essersi curata e aver assunto farmaci per superare la depressione post partum. Gli utenti l’hanno criticata perché «mica l’hanno obbligata a riprodursi». Purtroppo nel 2024 chi ha il coraggio di dare voce a una narrazione diversa del post parto, che non è per forza il periodo più bello della vita di una donna, è ancora vittima di uno stigma sociale.

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Levante racconta la depressione post parto e viene sommersa di insulti: «Non ti hanno obbligata ad avere figli»
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«Vergognati, tante donne sono depresse perché non riescono ad avere figli». «Mica l’hanno obbligata a riprodursi». «Parlare di salute mentale sta diventando di moda». «Non una parola sulla gioia di avere un figlio!». «Uscirne? Che è, un’intossicazione? È ridicolo». Sono solo cinque delle centinaia di commenti negativi apparsi sui social nei confronti della cantautrice Levante (al secolo, Claudia Lagona), che in una recente intervista rilasciata a La Repubblica ha rivelato di essersi sottoposta a una lunga terapia e di aver assunto farmaci per superare la depressione post partum che l’aveva travolta dopo la nascita della figlia Alma Futura, nel 2022.

«Nel 2023 ho trovato ostacoli molto alti. Sono sprofondata e risalita e ho sentito di voler raccontare la mia depressione, il mio cambiamento estetico e quel Sanremo tanto strano dove ho cantato “Vivo” con quel look così spiazzante – ha raccontato a La Repubblica Levante, di cui oggi esce un documentario su Paramount+ -. Mi sono trovata in difficoltà, la gioia di risalire sul palco era ancora sopita, ci ho messo tanto a uscirne e ho avuto bisogno di terapie e farmaci». Proprio sul palco dell’Ariston l’artista aveva scelto di liberarsi di quel dolore. Nel brano Vivo presentato lo scorso anno a Sanremo raccontava il buco nero in cui era caduta dopo il parto: «Dentro a questo pianto, Ho voglia di credere di poter farcela» recita il testo della canzone.

In poche ore le sezioni commenti dei post che riportano le dichiarazioni dell’artista siciliana si sono trasformate in una galleria degli orrori, con attacchi, critiche crudeli, sbeffeggiamenti, arrivati principalmente da utenti femminili, che sminuiscono le parole di Levante, deridono le affermazioni della cantante e si lamentano della fragilità della «nuova generazione di mamme».

Perché nel 2024 la massa continua ad accettare esclusivamente la narrazione della maternità a senso unico, come un viaggio magico ed estasiante che riempie la vita di gioia, senza eccezioni e senza inciampi? È forse una strategia apotropaica, per allontanare il male e la sofferenza che ci spaventano, o, più semplicemente, il riflesso della società odierna, che, anche se evolve e progredisce, rimane salda e ormeggiata a una mentalità obsoleta e a vecchi retaggi culturali (specialmente sulla maternità)?

Punto due. Dov’è la solidarietà femminile? La depressione perinatale non è una condizione rara. L’Istituto Superiore della Sanità sottolinea che colpisce circa il 10-15% delle donne che partoriscono. Significa che una mamma, o più, su dieci nelle 4-6 settimane dopo la nascita del figlio sperimenta umore depresso, perdita di piacere e interesse, disturbi del sonno, senso di valore poco e senso di colpa eccessivo, incapacità di pensare lucidamente, spossatezza, fino a pensieri di morte e di suicidio. E il numero di donne che ne soffrono è probabilmente più alto perché buona parte delle depressioni post-partum non vengono diagnosticate, con conseguenti effetti negativi sulla relazione madre-figlio.

Eppure, quando qualcuno, magari nel mondo dello spettacolo, si permette di toccare l’argomento e di dare voce a una versione diversa della gravidanza e della maternità, che esce dai binari del racconto dell’amore a prima vista, della gioia senza uguali, di coccole, zuccherini e unicorni, viene brutalmente linciato. Anziché esprimere solidarietà e comprensione, si punta il dito contro chi si è esposto, come in questo caso, definendola un rammollita, senza spina dorsale, una “che non ha la fibra delle madri di un tempo”, che non si meritava di diventare madre, che sputa in faccia a chi quel figlio non lo riesce ad avere e che, dall’alto del suo privilegio sociale, ha talmente poche preoccupazioni a cui pensare, da lamentarsi e vittimizzarsi.

Quello che emerge è un misto di ignoranza, mancanza di empatia, insensibilità e intolleranza generale nei confronti del rovescio della medaglia della maternità, che non piace e non si vuole vedere, ma che esiste e riguarda migliaia di donne.

Dire che la nascita di un figlio può causare sofferenza dà fastidio. Chi racconta la maternità anche come patimento continua ad essere vittima di uno stigma sociale. Non stupiamoci allora se tante mamme, vergognandosi, nascondono il loro dolore, lo soffocano nel silenzio, rimangono nell’ombra, e non si curano, nella speranza che quel male, come è arrivato, se ne vada da sé.

La consolazione è una: in mezzo a tanta ottusità e a messaggi di odio, ci sarà qualche mamma che, vittima della depressione post partum, si riconoscerà nelle parole di Levante, si sentirà abbracciata e, forse, meno sola.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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