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8 Marzo 2023
9:00

Mamma ma anche (e soprattutto) donna, nonostante la società a volte se lo dimentichi

Le mamme sono innanzitutto donne. Nella giornata della Festa della Donna, sono ancora tante le difficoltà che le mamme, in quanto donne, incontrano non solo sul lavoro - dove regna la disparità di genere e dove il part time diventa l'unica soluzione efficace per conciliare la vita professionale con quella domestica - ma pure in famiglia e nello svago. Una cultura, la nostra, che tende ancora a limitare alle mamme la libertà di essere prima di tutto donne.

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Mamma ma anche (e soprattutto) donna, nonostante la società a volte se lo dimentichi
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Una mamma prima di essere mamma è una donna, anche se la nostra società troppo spesso sembra dimenticarselo. Oltre agli ostacoli che nel nostro Paese le lavoratrici con figli incontrano nel mondo del lavoro, esistono delle difficoltà taciute che le donne, in quanto madri, vivono nella vita fuori dalle mura dell’ufficio. Dallo squilibrio di genere all’interno della famiglia (in cui nel 62,6% dei casi sono ancora le donne a occuparsi delle faccende domestiche, anche se entrambi i partner lavorano), all’onerosa esigenza di trovare una babysitter per un’uscita di coppia o con le amiche, fino alla carenza (se non assenza) di baby-parking nelle palestre, nei centri commerciali e nei luoghi di svago. Avere un figlio non equivale ad annullarsi come donna, anche se in Italia l’insufficienza (o il costo elevato) di servizi a supporto della maternità non aiuta la conciliazione fra vita in famiglia, professionale e privata. Oggi essere mamme lavoratrici che si divertono e dedicano del tempo a se stesse è un lusso che in poche, purtroppo, possono permettersi.

Lavoro: welfare inadeguato e gender gap

Il gender gap nel lavoro, sia dal punto di vista occupazionale che salariale, traspare chiaramente dai numeri periodicamente diffusi dall’Istat. Come emerge nel dettagliato report di Save the Children sulle donne "equilibriste", ad essere occupate in Italia sono 57,4 mamme su 100 nella fascia d’età 25-54 anni (contro l’88,2% dei papà), una cifra che tracolla fino al 37,4% nel Mezzogiorno (2021).

In Italia hanno un impiego meno di 6 mamme su 10

È interessante notare come il numero degli occupati fra gli uomini salga all’aumentare del numero di figli, mentre la cifra delle lavoratrici diminuisca se la prole è numerosa: la percentuale dei lavoratori senza figli (73,1%) è inferiore al numero di papà che lavorano (88,2%), mentre le quote rosa senza prole superano il 64,5% (contro il 57,4% delle mamme occupate).

Nella giungla della conciliazione fra vita domestica e professionale, l’unica via di fuga per le mamme equilibriste diventa il lavoro a tempo parziale. Il quadro dei part time femminili non è meno spinoso: le mamme con più di due figli che hanno un contratto part time sono 39,2 su 100, contro il 5,6% degli uomini, e per oltre 1,2 milioni di lavoratrici il part time è involontario.

Per 1,2 milioni di lavoratrici il part time è una scelta subìta

Non è un caso, quindi, che in concomitanza con la maternità (o proprio in conseguenza di quella) si registri un aumento dei licenziamenti fra le quote femminili. La complicata conciliazione lavoro-famiglia costringe le madri a rassegnare le dimissioni e a lasciare il posto di lavoro, specie se non hanno a loro disposizione una rete di nonni su cui contare che accudiscano i nipoti quando loro lavorano. A incidere sul licenziamento, decretando la scelta delle lavoratrici di rimanere a casa, sono pure i costi elevati degli asili nido e delle tate. Il salario medio guadagnato da una mamma rischia di non coprire (o di coprire a fatica) le spese della retta di una struttura per la prima infanzia, che nelle grandi città si attesta sui 300 euro per un nido comunale e sui 600 per uno privato, cifre sproporzionate rispetto agli stipendi italiani. Alla quota salata, si aggiunge l’imbuto delle graduatorie per l’accesso alle strutture per la prima infanzia, che nel nostro Paese accettano fino a un massimo di 27,2 bambini su 100 (in Danimarca ha accesso al nido addirittura il 71,7% dei piccoli nella fascia 0-3 anni).

Dei 220 nidi aziendali esistenti in Italia, 208 sono al Nord

La cultura dei nidi aziendali – cioè di quei servizi destinati all'accoglienza dei figli dei dipendenti di una determinata azienda – è poco diffusa nel Belpaese. Anche se negli ultimi anni stanno aumentando i benefit erogati dalle imprese per la genitorialità, il welfare aziendale che guarda a chi ha figli è ancora inadeguato: secondo un’indagine riferita al biennio 2016-2017 (ultimi dati disponibili), in Italia su 11.017 nidi, solo 220 sono aziendali (di cui peraltro 208 al Nord).

Fortunatamente esistono i nonni, che nel 60,4% dei casi si occupano dei nipoti con meno di 2 anni se entrambi i genitori sono fuori casa durante il giorno. Un Paese come il nostro con un tasso di denatalità terrificante, che prevede entro il 2049 un numero di morti doppio rispetto alle nascite, non può reggersi sulle spalle di un welfare familiare fondato sugli anziani. Urge un intervento radicale da parte della classe politica, che garantisca alle famiglie un servizio ad oggi insufficiente per evitare che il peso della genitorialità continui a ricadere su chi è ancora tacitamente delegato dalla società al ruolo di gestore della casa e dei figli: le donne.

Svago: il tempo extra-famiglia ed extra-lavoro è un lusso

Perché per una mamma frequentare regolarmente un corso in palestra o non rinunciare a un aperitivo fra amiche è ritenuto un vizio, e non la normalità? Perché per una donna con figli piccoli una piega dal parrucchiere, un viaggio di lavoro o una serata di svago sono visti, agli occhi della società, come una forma di egoismo, un qualcosa per cui sentirsi in difetto, o da fare solo “di tanto in tanto”?

È una cultura sbagliata quella che relega la madre costantemente dietro al computer o ai fornelli con il bebè in braccio, senza concederle la libertà di essere anche altro. Un’amica fedele, una moglie affettuosa, una sportiva allenata, una compagna presente, una cliente assidua… Una donna.

I baby-parking sono pochi e sorgono prevalentemente nei supermercati

La carenza di servizi di aiuto alla maternità incentiva questo modello che inquadra la donna come un automa diviso fra casa e lavoro. E la carenza, oltre che di nidi, di servizi integrativi per la prima infanzia ne è una dimostrazione lampante. La realtà dei baby-parking in Italia – cioè di quegli spazi aperti a minori 0-6 anni, gestiti da animatori ed educatori e attrezzati con giochi – è poco diffusa, specie in palestre o in luoghi per la cura della persona. E laddove esistono, spesso sono a pagamento, o sorgono all’interno di strutture che, logicamente, richiedono alla clientela un pagamento extra o un abbonamento ben più costoso rispetto alla media, inaccessibile alle fasce meno abbienti.

I baby-parking per l’infanzia sono abbastanza diffusi nei grandi centri commerciali, dove sono prevalentemente utilizzati, però, come angoli dove lasciare i bambini per sbrigare l’altra impellente faccenda quotidiana: la spesa per la famiglia.

Anche la vita di coppia è un lusso. Una cena a lume di candela ha due costi: quello del menù e quello della tata che rimane a casa con i piccoli. Una spesa che non è alla portata di tutti, specie alla luce degli ultimi rincari: secondo la piattaforma Babysits, nel 2023 in Italia la paga oraria di una babysitter è pari a 7,84 €/h, una tariffa che aumenta nelle città di Venezia e Milano, dove supera gli 8 euro all’ora.

Casa: il divario di genere fra le mura domestiche

Tra le mura domestiche l’essere donna e l’essere madre o moglie potrebbero entrare in conflitto e non funzionare meglio rispetto che nell’ambiente esterno.

Negli ultimi anni il divario di genere in casa sta migliorando, anche se nel 62,6% dei casi è ancora la lei ad occuparsi delle faccende domestiche, nonostante entrambi i componenti della coppia lavorino. La percentuale cala leggermente in Italia settentrionale, ma sfiora punte del 70% al Sud. Come precisa l’Istat, il lavoro domestico non pagato continua a essere appannaggio femminile. Un uso che in inglese prende il nome di “home gender gap” e che obbliga le donne a organizzare le attività fuori casa in funzione di quelle casalinghe.

6 volte su 10 sono le quote rosa a occuparsi della casa, anche se entrambi i partner lavorano

Anzi, da un recente sondaggio condotto dalla Fondazione Libellula all’interno del progetto Lei (Lavoro, Equità, Inclusione) che ha coinvolto 4.300 lavoratrici (fra impiegate, operaie, dirigenti e libere professioniste) a livello nazionale, è emerso un quadro non propriamente incoraggiante. Tre donne su quattro non sarebbero soddisfatte della suddivisione del carico di lavoro con il compagno e solo una donna su dieci avrebbe voce in capitolo nella gestione delle finanze familiari. La metà delle donne intervistate avrebbe dichiarato di occuparsi dei figli senza l’aiuto del partner, e quasi all’unanimità avrebbero ammesso di dedicare oltre l’80% del tempo al lavoro e alla cura della casa e della famiglia. Ne consegue che sport, hobby, passioni, viaggi, volontariato, tempo libero scalino in secondo, se non in ultimo piano, nella loro vita di lavoratrici con figli. Una consuetudine che limita alle mamme la libertà di essere anche donne.

Mamma e donna: un connubio che giova anche al bambino

Diventare mamma rimanendo donna non è facile in un mondo che, nonostante gli innegabili passi in avanti degli ultimi decenni, tende a idealizzare la figura materna come un’infallibile eroina indaffarata che si destreggia fra i figli, il bucato, i fornelli, la spesa, la carriera e il partner, senza il permesso di disattendere le aspettative. E quando, finalmente, la società si interessa a lei, finisce per discutere – se va bene – esclusivamente di numero di quote rosa nel lavoro e della difficoltà di dedicarsi alla carriera con dei figli a carico. E il resto?

Le difficoltà di una madre non si fermano all’uscio dell’ufficio, sullo zerbino di casa o alla conciliazione lavoro-famiglia. Una mamma realizzata non è solo o per forza una madre-lavoratrice soddisfatta della sua carriera e della vita in famiglia. Una mamma realizzata è anche e soprattutto una donna felice. E la sua felicità è una calamita per la serenità del piccolo.

Iscriversi a quel corso di cucina o di pilates che rimandiamo da tempo, acquistare quel biglietto del concerto dell’artista che aspettiamo di vedere da prima della pandemia, uscire per una camminata all’aria aperta post pranzo, programmare quell’appuntamento dall’estetista che procrastiniamo da settimane, ha il suo valore. Anche se la vita di una mamma è inevitabilmente cambiata da quando ha un piccolo da crescere, gestire e accudire, non significa che non possa avere in agenda dei momenti per se stessa. Anzi, se la mamma è serena e si preoccupa del suo benessere mentale e fisico, il figlio lo percepirà e ne trarrà giovamento.

Una mamma che si diverte o che semplicemente dedica più tempo dell’ordinario (se un ordinario esiste) a se stessa, allo sport, agli amici, ai cari, ai colleghi, alla cura della sua mente e del suo corpo, non è una mamma egoista o snaturata, non è una mamma che sta togliendo del tempo a suo figlio e alla sua famiglia in nome di qualcosa di effimero, non è una cattiva mamma. È una mamma fuori e dentro casa, ma, prima di tutto, è un essere umano, una donna con le sue esigenze e le sue passioni, che deve fare i conti con se stessa, con i giorni no, con gli sbalzi d’umore e con le sue fragilità. E oggi più che mai, che celebriamo la Festa delle donne, è importante ricordarcelo.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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