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27 Marzo 2024
16:00

Perché in Svezia hanno vietato i prodotti antiage a bambini e adolescenti?

La principale catena di farmacie svedese ha introdotto delle restrizioni sulla vendita delle creme antirughe, vietandole agli under 15. I prodotti antiage infatti sono potenzialmente dannosi per la pelle delicata dei più giovani. Ma perché i bambini acquistano cosmetici ringiovanenti? Negli ultimi anni è esplosa la "tween skincare", la mania dei preadolescenti per la cura della pelle e la beauty routine (anche quando non è necessaria)

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Perché in Svezia hanno vietato i prodotti antiage a bambini e adolescenti?
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Quella per la skincare è diventata una vera e propria moda per la Generazione Alpha. Negli Stati Uniti è stata coniata l’espressione “tween skincare” per indicare la cura della pelle da parte dei preadolescenti, e in rete circolano decine di video con l’hashtag “#SephoraKids”, che immortalano bambini di 10 anni in estasi davanti a trucchi e creme esposti nei punti vendita del noto brand francese. Il fenomeno è esploso da qualche anno ed è in crescita, complice la popolarità dei beauty influencer su Instagram e TikTok e l’abbassamento dell’età di accesso ai prodotti di skincare routine, tanto che la principale catena di farmacie della Svezia, che conta circa 390 farmacie e più di 3000 dipendenti nel Paese del Nord Europa, ha introdotto delle restrizioni.

Si tratta dell’azienda scandinava Apotek Hjärtat, che ha vietato la vendita di creme antirughe a bambini e adolescenti di età inferiore ai 15 anni. L’unico modo per i “tweens” per continuare ad acquistarli è avere il consenso dei genitori o una diagnosi dermatologica che ne attesti l’esigenza. Nello specifico, vengono proibiti ai più piccoli i prodotti contenenti vitamina A (retinolo), vitamina C (acido ascorbico), acidi AHA e BHA e peeling enzimatici. Il motivo? I cosmetici ringiovanenti sono inadatti e potenzialmente dannosi se applicati sulle pelli più giovani.

«L’utilizzo di trattamenti avanzati per la pelle che, ad esempio, mirano a ridurre le rughe e ad ottenere un tono della pelle più uniforme non è qualcosa di cui un bambino ha bisogno – ha spiegato Annika Svedberg, farmacista capo dell’azienda svedese –. Nei casi in cui un bambino ha una malattia della pelle, ad esempio l'eczema atopico, alcuni prodotti possono anche contribuire a peggiorare o riattivare i sintomi».

L’idea che gli 11enni acquistino abitualmente prodotti creati per attenuare i segni dell’invecchiamento non deve stupire. La dermatologa Jessica Weiser, che lavora a New York, ha raccontato alla Cnn di ricevere regolarmente in ambulatorio adolescenti dai 9 ai 13 anni per consulenze cosmetiche. «La barriera cutanea quando hai 9 anni non è completamente formata, – ha spiegato Weiser – non è pensata per gestire questo tipo di ingredienti».

Oltre ai dermatologi che lanciano segnali di allarme sulla “tween skincare mania”, diverse aziende del settore stanno prendendo dei provvedimenti. Monika Magnusson, amministratore delegato della Apotek Hjärtat, ha dichiarato: «Vogliamo essere all’avanguardia e assumerci una maggiore responsabilità per non essere coinvolti nella promozione di comportamenti e ideali malsani che dilagano tra i giovani».

Ma l’azienda scandinava non è la prima ed essere intervenuta per arginare il fenomeno dilagante della cura prematura ed eccessiva della pelle. L’azienda di cosmetici Mantle, ad esempio, ha preso una decisione analoga, anche se ha fissato il limite d’età ai 18 anni, anziché ai 15 anni.

Ciò non significa che i piccoli non debbano abituarsi a prendersi cura della loro pelle. Tuttavia, gli esperti raccomandano di scegliere prodotti adeguati alla loro tenera età e di alleggerire i passaggi della beauty routine, adattandola alle poche esigenze dei preadolescenti. In genere, si consiglia ai “tweens” di limitare la skincare a tre prodotti: un detergente delicato per la rimozione del sudore e dell’olio accumulato durante la giornata e due creme, una leggera per la notte e una solare per proteggere il viso dai raggi UVA e UVB durante il giorno.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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