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28 Febbraio 2024
9:00

Ristoranti childfree e locali vietati ai bambini sono legali in Italia?

La moda di aprire alberghi, bar e ristoranti childfree inizia ad attecchire anche in Europa, sollevando dubbi, polemiche e risentimento. Ma tralasciando le opinioni personali, dar vita a locali pubblici vietati ai minori è legale in Italia?

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Ristoranti childfree e locali vietati ai bambini sono legali in Italia?
Giurista, Mediatrice Familiare e Criminologa Clinica
I locali vietati ai bambini sono legali in Italia?

Negli ultimi anni è nata così la moda dei locali childfree, ossia luoghi di aggregazione riservati a una clientela adulta in cui vige il divieto di poter portare bambini al di sotto di una certa soglia di età (generalmente 12 anni) in assoluto o solo in certe fasce orarie.

Urla, pianti e schiamazzi dei piccoli infatti non solo mettono in difficoltà lo stesso genitore, che vorrebbe uscire con i propri figli senza però diventare vittima egli stesso del caos che spesso provocano, ma si conciliano male con il lavoro degli esercenti e con il diritto degli altri avventori a godere di un contesto di quiete e tranquillità.

Il fenomeno dei luoghi childfree è nato Oltreoceano, soprattutto negli USA, ma sta iniziando a prendere piede anche in Europa e in Italia, sollevando dubbi non solo in merito al suo aspetto etico ma soprattutto legale: è legittimo farlo?

Come funzionano i locali childfree

La ragione alla base del desiderio di alcuni esercenti di dar vita a ristoranti “vietati” ai minori è chiara: si desidera garantire alla clientela un ambiente rilassante, piacevole e privo della confusione che caratterizza le strutture frequentate dalle famiglie con bambini piccoli.

Un desiderio di esclusività condiviso non solo dagli imprenditori, che vedono nel settore "no kids" un’ottima opportunità d’investimento, ma dai numerosi avventori (spesso anch’essi genitori) che preferirebbero uscire in un contesto per soli adulti, in cui non ritrovare lo stesso caos che imperversa tra le mura domestiche.

Se molti potenziali clienti, quindi, si dicono favorevoli all’istituzione di appositi locali childfree, molti altri insorgono di fronte a queste proposte definendole discriminatorie.

La questione infiamma gli animi in uno scontro serrato che vede contrapposti da una parte chi difende il diritto di volersi rilassare o lavorare in luoghi senza bambini, dall’altra chi ritiene illegittimo e ingiusto pensare di “ghettizzare” le famiglie, impedendo loro di godere di alcuni servizi in ragione della sola fascia d’età dei loro figli.

I locali childfree sono legali?

I locali childfree non sono altro che luoghi pubblici nei quali viene vietato l’ingresso ad alcune categorie di persone unicamente in ragione della loro età anagrafica.

Per determinare se questo divieto sia o meno lecito è necessario analizzare le leggi che regolano l’esercizio di alcuni servizi.

In questo caso si deve analizzare il RD n. 635/1940 con il quale si dispone, all’art. 187, che salvo quanto disposto dagli articoli 689 e 691 del Codice Penale, gli esercenti non possano, senza un legittimo motivo, rifiutare prestazioni del proprio esercizio a chi le domandi e ne paghi il relativo prezzo.

I due articoli del Codice Penale richiamati sono quelli relativi all’obbligo per gli esercenti di astenersi dal somministrare bevande alcoliche a minori, infermi di mente e persone in stato di manifesta ubriachezza. In tutti gli altri casi qualsiasi divieto dovrà essere sostenuto da un “legittimo motivo”.

Se quando si tratta di un divieto basato su orientamento sessuale, origini o religione il “legittimo motivo” non avrà mai ragione di esistere e integrerà sempre una forma di discriminazione in contrasto con i principi costituzionali, se questo viene basato sull’età anagrafica del “cliente” è possibile considerarlo lecito oppure no?

L’età di per sé non è un valido motivo per escludere un cliente dal proprio esercizio, ma potrebbero esserci degli interessi confliggenti che di volta in volta l’esercente dovrà tutelare a scapito di quello del singolo.

Ad esempio se si desidera garantire la quiete nel proprio locale, affinché il servizio si svolga regolarmente e senza intralcio o danni ad altri, potrà essere legittimo decidere di allontanare alcuni specifici clienti che stiano tenendo condotte non tollerabili. Se nel caso di specie si trattasse, ad esempio, di una famiglia con bambini piccoli gravemente molesti e potenzialmente pericolosi per personale o avventori, questa potrebbe essere allontanata per un motivo legittimo che non si basa unicamente sul requisito della maggiore età.

Un’esclusione invece a priori, basata unicamente sull’età anagrafica, non appare mai legittima.

Cosa fare se si vieta l'ingresso alle famiglia con figli?

L’utente escluso da un pubblico esercizio sulla base di motivazioni legate all’età dei propri figli potrebbe, se lo desidera, segnalare il locale alle autorità e fargli comminare una multa, che potrà essere poi aggravata nel tempo qualora l’esercente prosegua nel suo intento illegittimo.

Le conseguenze per i locali childfree, in Italia, esistono sul solo piano amministrativo e non penale. Questo significa che la politica "no kids", al momento, non viola alcuna norma penale ma prevede per chi la percorre una sanzione di tipo amministrativo.

Qualora la pratica dilagasse maggiormente, la Giurisprudenza potrebbe venire in aiuto specificando meglio il concetto di “legittimo motivo” nell’escludere alcuni clienti dalle prestazioni del locale, o il legislatore potrebbe emanare una specifica normativa che condanni chiaramente chi impedisce l’accesso a un esercizio sulla base della sola età anagrafica.

Qualora il proprietario di un esercizio desiderasse, invece, garantire ai propri clienti maggiore privacy, silenzio e quiete nei propri spazi potrebbe applicare delle specifiche richieste in tal senso e farlo però nei confronti di tutti gli avventori, non solo quelli minorenni.

Ad esempio, si potrebbero predisporre delle zone o degli interi locali dedicati a momenti di relax e silenzio, spingendo di fatto le persone, adulti o bambini, a comportarsi in maniera congrua in quegli spazi ma senza escludere l’accesso a nessuno in via preventiva e per motivazioni basate unicamente sull’età.

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