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7 Luglio 2023
12:32

Sale a 7 milioni il numero di bambini in case famiglia e orfanatrofi: «Sono luoghi dove aumentano le problematicità dei minori»

Sette milioni di minori vivono in case famiglia e istituti di accoglienza, mentre oltre 20mila sono a rischio di abusi di natura fisica ed emotiva. Un dato in crescita, anche a causa della guerra, che è emerso nel corso della Conferenza Internazionale sugli "Interventi a sostegno della genitorialità basati sull’attaccamento" dell'Università di Pavia.

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Sale a 7 milioni il numero di bambini in case famiglia e orfanatrofi: «Sono luoghi dove aumentano le problematicità dei minori»
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Nel mondo vivono oltre 2 miliardi di bambini e adolescenti, 7 milioni dei quali sono ospitati in case famiglia e istituti di accoglienza. Sono in esponenziale crescita a livello internazionale i dati sul numero dei più piccoli rinchiusi negli orfanotrofi e nelle strutture predisposte all’accoglienza di minori in difficoltà, abbandonati o senza genitori, anche a causa delle guerre. Un tema delicato e urgente, che è stato toccato nel corso della Conferenza internazionale su «Gli interventi a sostegno della genitorialità basati sull’attaccamento» organizzata nei giorni scorsi all’Università di Pavia. Al centro dell’incontro, le conseguenze e gli effetti della permanenza in case famiglia, dell’affido e dell’adozione sullo sviluppo psicologico dei più piccoli e, soprattutto, l’importanza della creazione di un legame di attaccamento tra il genitore (o caregiver) e il minore in difficoltà.

«La struttura della famiglia, indipendentemente dal fatto che sia biologica, adottiva, affidataria, è in assoluto quella che può recuperare meglio e più velocemente i danni, i ritardi e i disagi socio-emotivi dei bambini. Al contrario, orfanatrofi e istituti di accoglienza sono luoghi dove aumentano le problematicità dei minori» ha spiegato Lavinia Barone Responsabile del Laboratorio per l’Attaccamento e il sostegno della Genitorialità – LAG dell’Università di Pavia, come riporta il Corriere della Sera.

Secondo uno studio condotto nel 2020 su oltre 100mila bambini provenienti da 60 Paesi diversi, la figura del caregiver è estremamente rilevante nell’aiuto di un piccolo con disturbi e disagi dello sviluppo e psicologici. Se non è seguito da un caregiver, il minore rischia di non risolvere i ritardi evolutivi e i disagi sviluppati nei primi anni di vita, che riguardano lo sviluppo della circonferenza cranica, il peso, l’altezza, ma anche lo sviluppo intellettivo e socio-emotivo. Ecco perché è essenziale investire sugli interventi a sostegno dei genitori di minori in difficoltà o ospitati in istituti di accoglienza, dei genitori affidatari e dei genitori adottivi.

"Lavorando sui caregiver primari si riescono a ridurre i rischi legati allo sviluppo dei bambini"

«È scientificamente provato che lavorando sui caregiver primari si riescono a ridurre i rischi legati allo sviluppo dei bambini» ha continuato la dott.ssa Barone ha continuato la dott.ssa Barone, prima di aggiungere: «Le ultime evidenze scientifiche ci dicono che è il caregiver che si occupa del minore che fa la differenza nell’aiutarlo, ma dev’essere supportato per rendere al meglio nelle proprie capacità. Il legame biologico, invece, è risultato relativamente importante».

Gli interventi, quindi, agiscono direttamente sui genitori (o caregiver), non sui piccoli. L’obiettivo è di rendere più positiva la relazione degli adulti con i figli in crisi e, di conseguenza, risolvere o, almeno, migliorare disagi e disturbi dei minori. Nel caso di bimbi fino ai 10 anni, vengono effettuati interventi a domicilio, mentre per gli adolescenti si prediligono incontri di gruppo, durante i quali attraverso attività e giochi di ruolo i genitori dei teenager si mettono alla prova in alcune situazioni tipiche. Negli interventi domiciliari, invece, gli specialisti raggiungono la casa del paziente e registrano dei video, filmando le interazioni di vita quotidiana genitore-figlio tra le mura domestiche, mostrando poi all’adulto quali comportamenti che adotta con il figlio sono corretti e quali da correggere.

Di fatto sono interventi che favoriscono l’attaccamento, una relazione emotivamente significativa. «Per i bambini adottati che hanno conosciuto percorsi di vita con separazioni e perdite, o addirittura traumi, il coinvolgimento dei genitori adottivi attraverso questi interventi è una “terapia naturale di recupero” con risultati positivi e di grande aiuto per tutti» conclude Barone. I più piccoli, infatti, anche da un punto di vista evoluzionistico hanno un’innata esigenza di instaurare un legame d’attaccamento con un adulto, perché una simile relazione accresce la possibilità di sopravvivenza.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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