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13 Febbraio 2024
14:30

Sempre più donne scelgono il social freezing e congelano gli ovuli per rimandare la maternità

Dopo la pandemia è in crescita in Italia, come all'estero, il numero di donne che si rivolgono a centri di fecondazione assistita per congelare gli ovuli e rimandare la maternità a data da destinarsi. L'età media di chi sceglie il social freezing è 30-35 anni.

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Sempre più donne scelgono il social freezing e congelano gli ovuli per rimandare la maternità
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Aumenta progressivamente la richiesta di congelare preventivamente gli ovociti e rimandare la maternità a data da destinarsi. Il fenomeno del social freezing – il trattamento che consente di congelare gli ovuli di una donna per utilizzarli più avanti – da anni sdoganato negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Spagna, sta gradualmente prendendo piede in Italia. Anche se ad oggi non esiste un monitoraggio ufficiale su quanto sia diffusa la pratica nel Belpaese, in occasione del ventesimo anniversario della Legge 40 sulla Pma arrivano delle conferme sulla sua crescente popolarità dai Centri di fecondazione assistita sul territorio.

«Al Sismer il social freezing esiste dal 2015, ma il 58% delle consulenze è avvenuta fra il 2022 e il 2023» ha dichiarato a BolognaToday Luca Gianaroli, direttore scientifico di Sismer, Società Italiana di Studi di Medicina della Riproduzione con sede a Bologna e director of Global Educational Programs della International Federation of Fertility Societies (IFFS). «Prima del Covid – ha continuato Gianaroli – queste pazienti erano un’eccezione e veniva trattata circa una al mese, mentre nel periodo successivo alla pandemia la media è di sette al mese».

L’idea di rinviare la gravidanza a un’età più avanzata, quando le probabilità di rimanere incinta biologicamente sono più basse, alletta un numero crescente di donne. Tante di loro intendono sottoporsi al trattamento e, quindi, posticipare la maternità perché al momento vogliono concentrarsi sulla carriera e rimandare la gravidanza a un’età più matura, oppure non hanno un partner e desiderano arrivare a una stabilità economica e/o affettiva prima di avere un figlio.

Il crescente interesse verso la crioconservazione degli ovociti a scopo precauzionale è stato recentemente evidenziato da Paola Anserini, presidente della Società italiana di Fertilità e Sterilità  (Sisfes-MR) e responsabile dell'UOS Fisiopatologia della Riproduzione Umana (FRU) dell'Ospedale Policlinico San Martino. «La richiesta di criopreservazione per motivi non medici – ha spiegato Anserini come riporta il Quotidiano Sanità – è in aumento e andrebbe in qualche modo sostenuta perché ridurrebbe il ricorso alla ovodonazione, aumentando la consapevolezza riproduttiva».

Ma la volontà di dedicarsi alla carriera o l’assenza di un partner stabile non sono le uniche ragioni per cui si ricorre al congelamento degli ovociti. Il social freezing si rivela una valida opportunità per coloro che soffrono di menopausa precoce, endometriosi, malattie autoimmuni ed ematologiche o che, a causa di un tumore, devono sottoporsi a chemioterapia o radioterapia e desiderano preservare la loro fertilità. Se però la crioconservazione degli ovociti per ragioni di salute (ad esempio per si sta sottoponendo a cure per il cancro) è gratuita ed effettuata in una struttura ospedaliera, quella per motivi personali è invece a carico delle singole donne e disponibile quasi esclusivamente in strutture private. Le uniche eccezioni sono Toscana, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Trento, dove esistono strutture pubbliche che offrono il trattamento per ragioni non mediche, seppure dietro pagamento.

Il costo piuttosto elevato per congelare gli ovuli – la quota si aggira intorno ai 3mila euro (esclusi i farmaci per la stimolazione ovarica), anche se la cifra varia a seconda della clinica scelta – rimane l'ostacolo principale, che limita il fenomeno del social freezing (per motivi non medici) a una nicchia di donne privilegiata. «Siccome però questo è un servizio non offerto nelle strutture pubbliche, solo una percentuale limitata delle donne che ne avrebbero necessità possono permetterselo» ha precisato Gianarli a BolognaToday. A questo proposito, esiste un Registro Pma, a cura dell’Istituto Superiore di Sanità, dove è possibile consultare i centri di Pma di secondo e terzo livello autorizzati a praticare il social freezing.

In Paesi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Spagna il social freezing è più sdoganato.  Nel 2021 in Inghilterra sono stati registrati più di 4.200 cicli di conservazione di ovociti secondo quanto riporta la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea), quasi il doppio dei 2.500 del 2019. Tante grandi aziende britanniche e americane poi offrono la crioconservazione degli ovuli come benefit alle proprie dipendenti.

Non è detto tuttavia che, congelando gli ovuli, si rimanga incinte in età matura o che effettivamente in seguito si utilizzino quegli ovuli per una gravidanza. Gli scienziati dell’Universitair Ziekenhuis Brussel (Belgio) hanno recentemente scoperto che il più delle donne che crioconservano preventivamente gli ovuli finiscono per non usarli. Nello studio, presentato lo scorso giugno a Copenhagen in occasione dell’annuale convegno della Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (ESHRE), sono state prese in esame 843 donne che si erano sottoposte al trattamento tra il 2009 e il 2019. Nel maggio 2022 solo il 27% era tornato al centro specialistico per sottoporsi a una pratica di fertilità, e meno della metà di loro (nello specifico, 110 sulle 843 che avevano effettuato il trattamento) aveva scelto di utilizzare gli ovuli congelati.

Gli esperti della salute riproduttiva, comunque, invitano alla cautela e raccomandano una scelta consapevole e ponderata sia della clinica che dei rischi del trattamento. «È fondamentale – ha dichiarato Kayleigh Hartigan, fondatrice di Fertility Mapper e consulente della strategia governativa per la salute delle donne, al tabloid inglese MailOnlineche le donne siano consapevoli che si tratta di una procedura medica e non di una procedura da eseguire con leggerezza».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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