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3 Marzo 2024
15:00

Teoria delle madri frigorifero, cosa significa e perché non ha nulla a che vedere con l’autismo

"Madri frigorifero" era il nome di una teoria psicologica della metà del Novecento secondo la quale l'autismo dei figli derivava dall'approccio freddo e distaccato della madre. Ad oggi è ritenuta priva di validità, anche se purtroppo ha causato per decenni confusione e disinformazione.

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Teoria delle madri frigorifero, cosa significa e perché non ha nulla a che vedere con l’autismo
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Sapete chi sono le «madri frigorifero», o i «genitori frigorifero»? Anche se l’accostamento di termini è bizzarro e quasi divertente, l’espressione nasconde in realtà un significato tutt’altro che simpatico e ha procurato danni sia alla divulgazione scientifica che alle famiglie con figli autistici. A sdoganarla e supportarla fu lo psicoanalista Bruno Bettelheim nella seconda metà del Novecento, anche se prima di lui lo psichiatra Leo Kanner aveva gettato le basi del concetto. Si tratta di una teoria psicologica novecentesca – mai confermata e ad oggi ritenuta priva di validità – secondo cui la causa dell’autismo è da ricercare nell’approccio freddo, apatico e distaccato dei genitori (nello specifico della madre), gelidi come un frigorifero, appunto.

Chi sono le madri frigorifero

La teoria delle madri (o dei genitori) frigorifero, altrimenti nota come teoria dell’autismo di Bettelheim, è una teoria psicologica del secondo Novecento che ad oggi ha perso (fortunatamente) credibilità, secondo la quale la causa dell’autismo risiede nell’assenza di calore emotivo da parte dei genitori, specialmente della madre. In sostanza, se il figlio è autistico è colpa dell’approccio freddo e indifferente di una mamma distaccata (il contrario della mamma pancina). In realtà, anche se l’autismo continua ad essere studiato e non si è arrivati a una conclusione definitiva sulla sua eziologia, la tesi dei “genitori frigorifero” è stata accantonata e rifiutata dalla maggior parte della comunità scientifica. Oggi le due etichette – “madre frigorifero” e “genitore frigorifero” – sono inutilizzate e ritenute stigmatizzanti.

Bruno Betterlheim e “The Empty Fortress”

Come anticipato, a postulare la teoria fu Bruno Betterlheim, psicoanalista austriaco sopravvissuto a un campo di concentramento nazista, emigrato dopo la Seconda Guerra Mondiale negli Stati Uniti. Oltreoceano Betterlheim assunse il ruolo di direttore della Orthogenic School for Troubled Children alla Università di Chicago, una scuola in cui venivano trattati pazienti di età infantile, alcuni dei quali manifestavano comportamenti autistici. Secondo lo psicoanalista, le anomalie biologiche nei bambini autistici erano l’effetto, e non la causa, del disturbo e della genitorialità emotivamente fredda. Il suo libro del 1967, dal titolo The Empty FortressLa Fortezza Vuota»), in cui descriveva la teoria, divenne un best-seller e prestigiosi quotidiani lo recensirono positivamente, nonostante non si trattasse di un testo scientifico.

Il danno fu notevole, sia a livello divulgativo e mediatico (Betterlheim veniva invitato perfino nei più influenti programmi televisivi americani) che all’interno delle famiglie con figli autistici, poiché i genitori si vergognavano ed erano logorati dal senso di colpa.

L’abbandono della teoria frigorifero

Alla fine degli anni Settanta risalgono i primi studi contro la teoria della madre frigorifero, con ricerche su gemelli che riconducevano l’autismo a fattori genetici e ambientali.

Uno dei primi specialisti a dissentire dalla teoria frigorifero fu lo psichiatra statunitense Bernard Rimland, padre di un figlio autistico, secondo il quale il disturbo era legato a condizioni biologiche, non a problemi psicologici.

Già nel 1969 lo psichiatra austriaco Leo Kanner, che negli anni Quaranta aveva gettato le basi di quella che sarebbe stata la teoria delle madri frigorifero di Betterlheim, si dissociò dalle parole del collega e giustificò i suoi articoli precedenti dichiarando: «dalla prima pubblicazione fino all'ultima ho parlato senza mezzi termini di questa condizione come "innata" – spiegò –. Ma poiché descrivevo alcune caratteristiche dei genitori come persone, spesso venivo citato erroneamente come se avessi detto che "è tutta colpa dei genitori».

Nel 2002 andò in onda sulla televisione pubblica americana il docu-film Refrigerator Mothers, in cui veniva raccontato il dramma delle madri americane negli anni Cinquanta e Sessanta, accusate dall’establishment medico di essere la causa dell’autismo dei figli. «Sebbene oggi del tutto screditata – si leggeva sul sito della tv pubblica statunitense –, la diagnosi della “madre frigorifero” ha condannato migliaia di bambini autistici a terapie discutibili e le loro madri a un lungo incubo».

Perché l’associazione con l’autismo è sbagliata

La teoria delle madri frigorifero ad oggi non ha (fortunatamente) più validità, anche se per decenni le è stato conferito credito a livello internazionale. Senza dubbio, l’autismo è una condizione con un’eziologia non definitiva, di cui rimangono interrogativi in sospeso e che presenta un ampio range di sintomi (tanto è vero che si utilizza il termine cappello di “spettro autistico”). Ma la presenza di tratti autistici nei fratelli (specialmente se gemelli) e nei genitori suggerisce che la causa principale è genetica, insieme a una serie di fattori ambientali.

Purtroppo falsi miti ed ipotesi pseudoscientiche sull’autismo continuano a sopravvivere e a costituire un peso per diverse famiglie con figli autistici. Negli anni l’autismo è stato associato l’autismo (una tesi ovviamente falsa), ed è stato ipotizzato che l’autismo fosse tipico delle classi sociali più elevate nelle quali i figli venivano cresciti da una tata o comunque una figura vicaria della madre biologica.

L’ignoranza sul tema dell’autismo e la disinformazione (come quella sulla teoria frigorifero) ha condotto tanti genitori a incolpare se stessi per la condizione dei figli, ostacolando gli sforzi per aiutare i piccoli a integrarsi pienamente nella società.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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