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23 Dicembre 2023
14:00

Da dove nasce la tradizione di fare regali ai bambini a Natale?

L’usanza di fare un regalo ai piccoli per Natale non è (solo) una convenzione recente, frutto del consumismo e delle strategie di marketing dei colossi aziendali. La tradizione trova riscontro nella religione cristiana e nella storia più antica, risalente addirittura a prima della fondazione di Roma.

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Da dove nasce la tradizione di fare regali ai bambini a Natale?
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La tradizione di fare regali ai bambini a Natale ha una lunga storia alle sue spalle. Anche se l’aspetto più commerciale della pratica di acquistare regali per familiari e amici è da ricondurre agli sforzi di marketing aziendali e all’avvento del consumismo, regalare doni a Natale è un’usanza antica e antecedente alla diffusione del capitalismo aziendale. Esistono storie, aneddoti religiosi e miti storici che spiegano l’origine del rituale invernale dei doni.

L’elemento dei doni lo si trova innanzitutto nella Bibbia e nella tradizione cristiana. I tre Re Magi consegnano oro, incenso e mirra a Maria e Giuseppe il giorno dell’Epifania per celebrare la nascita del piccolo Gesù Bambino. È dall’episodio religioso che deriva la cosiddetta “regola dei tre regali”, una recente invenzione statunitense secondo la quale i genitori hanno l’obbligo morale di non superare i tre doni per figlio. La triade dei regali rappresenta l’oro, l’incenso e la mirra:

  • il primo è un dono che rafforzi la personalità e l’identità del figlio (quindi un oggetto che lo stimoli a rafforzare le sue passioni)
  • il secondo un regalo che gli permetta di imparare qualcosa, come un libro
  • il terzo è un dono da condividere, come un regalo di società

Si tratta di una strategia adottata da mamme e papà pure per risparmiare denaro e ridurre il numero di doni sotto l’albero.

Già prima del Cristianesimo, tuttavia, esisteva l’usanza di regalare doni. Nell’antica Roma era consuetudine scambiarsi regali (e in particolare rami d’abete) durante i Saturnalia, una festa che cadeva per il solstizio d’inverno. Si trattava di una convenzione diventata popolare perché, secondo una credenza comune, la generosità avrebbe portato fortuna nell’anno a venire e avrebbe aiutato a propiziarsi l’abbondanza dei raccolti durante la bella stagione.

La ricorrenza romana, fra l’altro, è stata associata a una leggenda più antica, che risale all’epoca dei Sabini, prima della mitica fondazione di Roma. Secondo il racconto, il re Tito Tazio, quello del ratto delle Sabine, chiese in dono ai suoi sudditi un ramo d’alloro o di ulivo colto nel bosco sacro della dea Stenia. Da allora, i cittadini presero l’abitudine di regalarsi i rami sacri come segno di benevolenza.

Tra gli aneddoti e le storie sul rituale dei regali natalizi, va senz’altro menzionata quella di san Nicola, una figura religiosa vissuta fra il III e IV secolo d.C. che a volte viene sovrapposta a Babbo Natale, anche se sussistono delle differenze. Secondo quanto tramanda la tradizione cristiana, san Nicola, vescovo di Myra, donò in segreto di notte una somma di denaro a tre povere sorelle che, siccome il padre era in condizioni economiche precarie, non avevano a disposizione una dote per il matrimonio. Da allora, san Nicola è ricordato per il suo altruismo come protettore dei bambini e dei poveri. A partire dal Medioevo, iniziò a diffondersi l’usanza dello scambio di doni per commemorare l’onomastico del santo, che cade il 6 dicembre.

Il culto di San Nicola, patrono di Bari, si diffuse nei diversi Paesi con delle sostanziali differenze. Nel Nord Europa il santo prese il nome Sinterklaas, mentre i coloni importarono la tradizione a New York, trasformando Sinterklaas in Santa Claus, che oggi conosciamo come Babbo Natale. Tutt’oggi è san Nicola, e non Babbo Natale, a portare i regali ai piccoli in determinate città in Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto (Belluno) nella notte fra il 5 e il 6 dicembre.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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