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Si scrive «genitorialità creativa di genere» (dall’inglese “gender creative parenting”). Si legge addio della diarchia del rosa e dell’azzurro (rimpiazzati dai più neutri giallo e verde), scelta di nomi unisex (come Andrea e Alex), messa al bando dei tanto popolari “gender reveal party”, dei giocattoli, dei vestiti e delle attività divisi per genere. La genitorialità creativa di genere è un modello educativo sperimentale fondato sul “de-gendering” dell’esperienza di neonati e bambini piccoli attraverso scelte di abbigliamento, di attività e giocattoli “neutri” con l’obiettivo di crescere i piccoli senza stereotipi o aspettative sociali basati sul genere di nascita.
In soldoni, che nasca femmina o che nasca maschio è indifferente: il genitore che segue l’approccio di “genitorialità creativa di genere” non vuole che il figlio venga inquinato da modelli e convenzioni legati all’apparato genitale con cui è venuto al mondo.
«La genitorialità creativa di genere è una pratica che favorisce uno sviluppo privo di stereotipi di genere – ci spiega la psicologa Elisabetta Lupi – Si tratta di un modello educativo che non prevede la differenziazione maschio-femmina e ritarda lo sviluppo dell'identità di genere».
La tendenza, diffusa prevalentemente negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Canada e in Australia, secondo i più scettici rischia di causare confusione nei piccoli o di condannarli alla gabbia dei leoni, esponendoli ai giudizi crudeli dei bulli che li additeranno come “diversi”. Tuttavia, esistono diversi livelli di gender creative parenting.
C’è chi la attua in un’ottica di inclusività per superare i vecchi retaggi di genere, ad esempio scegliendo semplicemente di regalare al figlio sia macchinine e dinosauri che bambole e pony in miniatura, fino a chi adotta un approccio più radicale e controverso chiedendo ad amici e familiari di evitare di rivolgersi al figlio con i pronomi “she” («lei») o “he” («lui») o parole che sottintendano il genere.
Cos’è la genitorialità creativa di genere
Per genitorialità creativa di genere – altrimenti chiamata “gender neutral parenting”, «genitorialità neutrale rispetto al genere», o “gender-open parenting”, «genitorialità aperta al genere», – si intende un modello educativo che consiste nel crescere il figlio senza imporgli degli stereotipi di genere. È il contrario della cosiddetta “gender based parenting”, un’etichetta utilizzata per indicare un approccio genitoriale basato sulla distinzione binaria tra maschio e femmina.
La dottoressa Christia Spears Brown, psicologa dello Sviluppo e autrice di “Parenting beyond pink and blue”, descrive la genitorialità creativa di genere come «gettare gli stereotipi di genere fuori dalla finestra e concentrarsi sulle caratteristiche uniche dei propri figli».
Come funziona la genitorialità creativa di genere
Esistono diverse interpretazioni del gender creative parenting e diversi modi di praticarlo.
Alcuni genitori si impegnano semplicemente a trasmettere al figlio il concetto che non esistono giocattoli, discipline, attività, colori, professioni “da maschio” e “da femmina” e lasciano loro la libertà di esprimere passioni e interessi, indipendentemente dalle convenzioni legate al genere.
Altri, invece, seguono un modello di “genitorialità creativa di genere” più rigido e controverso, nascondendo ad esempio il sesso del figlio fino alla nascita o chiedendo a parenti e amici di rivolgersi al piccolo con “they/them”, considerati pronomi non binari, nella convinzione che siano i piccoli ad avere il diritto di riconoscersi un giorno nell’identità di genere a cui sentono di appartenere.
Le caratteristiche più comuni della genitorialità creativa di genere sono:
- Uso di un linguaggio più inclusivo
- Non etichettare i vestiti, i colori, i giochi, gli sport, il taglio di capelli, le attività come “da maschio” o “da femmina”
- Non rivelare il sesso del neonato fino alla nascita e, in alcuni casi, anche dopo
- Rivolgersi ai piccoli con pronomi neutri come “they/them” fino a quando capiranno da soli come definirsi
Praticare la “gender creative parenting” non significa comunque rispettare ognuno di questi punti. C’è chi, ad esempio, pur riconoscendosi nell’approccio genitoriale di creatività di genere, sceglie di utilizzare i pronomi tradizionali “she/her” e “he/him” per il figlio, rifiutandosi di adottare termini neutri.
Una delle testimonianze più note è quella di Kyl Myers, sociologa, mamma di Zoomer e autrice del libro “Raising them: our adventure in gender creative parenting”. La donna ha spiegato di aver voluto crescere il figlio, che oggi ha 7 anni, concedendogli «la libertà di esplorare i suoi interessi, al fine di auto-identificarsi come una bambina o un bambino, o ogni altra etichetta che gli/le si addica. Crescendo saprà chi è».
Rischi e benefici della genitorialità creativa di genere
La genitorialità creativa di genere è ritenuta una pratica educativa sperimentale, anche se in aumento nei Paesi anglosassoni. Trattandosi di una tendenza piuttosto recente, sono stati condotti pochi studi a riguardo.
Per quanto riguarda i benefici, secondo i promotori del “gender creative parenting” l’approccio educativo aiuta i piccoli a esprimersi liberamente e a scegliere ciò che preferiscono in base ai loro interessi, e non alle aspettative della società o agli stereotipi di genere. I genitori che si rifiutano di esporre il fiocco rosa o blu alla nascita del figlio, sostengono che i bambini, se incoraggiati a esplorare il mondo in libertà, sono più curiosi, maturano interessi vari, sono più fiduciosi verso se stessi e si distaccano da quello che è puramente “mainstream”. Una teoria confermata da uno studio pubblicato nel 2022 da Elizabeth Rahilly, professoressa associata di Sociologia presso la Georgia Southern University, che ha coinvolto genitori e alcuni nonni di bambini di età compresa tra i 2 e i 9 anni, cresciuti in famiglie aperte al genere.
C’è chi invece critica la creatività di genere nella genitorialità, sostenendo che costituisca un rischio per il piccolo in una delicata e prematura fase dello sviluppo, quando la sua identità di genere non è ancora definita. Se il bambino assume un’identità più neutrale rispetto al genere, rischia di essere bollato come “diverso” dai coetanei ed essere vittima di bullismo e commenti negativi.
Ad ogni modo, rischi e benefici dipendono dal grado di “gender creative parenting” adottato.