Gio, con la sindrome di Down, e il fratello Andre smontano gli stereotipi con le gag su TikTok: “Il nostro rapporto è unico”

Andrea Cerullo, 24 anni, e il fratello Giovanni, 33 anni, affetto dalla sindrome di Down, dimostrano che la comicità non dipende dal numero di cromosomi. I video in cui ballano e recitano vanno virali su TikTok raggiungendo milioni di visualizzazioni. Quando andava a scuola Gio è stato protagonista di un episodio spiacevole: «Un’educatrice gli aveva scritto "asino” in fronte» racconta Andre.

24 Maggio 2023
18:00
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Gio, con la sindrome di Down, e il fratello Andre smontano gli stereotipi con le gag su TikTok: “Il nostro rapporto è unico”
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Giocano a pallacanestro. Guardano i film. Nonostante siano di Bologna, tifano per il Napoli ed esultano ai gol di Osimhen. Cantano a squarciagola ai concerti di Gianni Morandi e hanno acquistato il biglietto per vedere Marco Mengoni a luglio. Alle loro attività si svago, se ne è aggiunta una spassosissima, che li ha consacrati a fratelli-star del web: girare video divertenti da pubblicare su TikTok. Andrea Cerullo, 24 anni, e il fratello Giovanni, 33 anni, affetto dalla sindrome di Down, dimostrano che la comicità non dipende dal numero di cromosomi.

«Il nostro rapporto è unico e indescrivibile – racconta Andrea a Wamily, mentre tiene il braccio sulla spalla di Gio – insieme ci divertiamo, ci vogliamo bene. Non l’ho mai visto in maniera diversa: è mio fratello, punto e basta».

I re degli sketch sul web

Hanno iniziato nel 2019 a pubblicare qualche video goliardico insieme. «Gli amici mi dicevano: “Perché non create una pagina vostra? Fate ridere, siete divertenti!”, e dopo un po’ ho seguito il loro suggerimento». Balletti, gag, doppiaggi di battute gustose di film. «Mi piace imitare Aldo, Giovanni e Giacomo» ci racconta Gio, sorridendo. «La carica ce la danno i commenti positivi – spiega Andre – ci scrivono tanti genitori, fratelli, parenti di ragazzi con sindrome di Down, che si rispecchiano in noi».

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Andrea, 24 anni, e Giovanni, 33 anni, allo stadio

Tra studio e lavoro

Dal martedì al venerdì Gio è impegnato come barista in un ristorante gestito da una cooperativa sociale, lavorando al fianco di altri ragazzi con disabilità. Riempie le brocche di acqua, vino e birra per i clienti, ed è un gran chiacchierone. «Ha iniziato come cameriere, ma quando andava in sala si intratteneva a parlare con i clienti – spiega Andre, ridendo – allora il capo gli ha detto: “Senti Gio, vieni dietro al bancone con me a preparare le caraffe”».

Andre, invece, si sta per laureare in Ingegneria Gestionale e lavora in un’azienda di logistica. Il tempo libero che gli resta, lo trascorre con gli amici e con Gio. «Al sabato sera andiamo in giro con la mia compagnia o al cinema – commenta Andre – Gio è uno che va a letto presto, resiste al massimo fino all’una». In più, il lunedì e il venerdì Gio frequenta un gruppo di autonomia dove, insieme a degli educatori, svolge semplici attività, impara a farsi il letto e a prepararsi da mangiare.

Andre è il più piccolo di quattro fratelli, ed è cresciuto al fianco di Gio. «I miei genitori son stati bravi a creare il legame fra di noi – commenta Andre – a non farmi mai pesare la disabilità di mio fratello. Non ho memoria di aver mai visto Giovanni in maniera diversa, neanche da piccolo». Quando qualcuno a scuola si azzardava a deriderlo, arrivavano in soccorso di Gio i suoi fratelli più grandi, che oggi hanno 34 e 36 anni.

«A scuola un’educatrice gli scrisse in fronte “asino”»

Nel corso degli studi Gio ha incontrato degli «educatori fenomenali», come Luca e Fabio, che gli sono stati accanto durante la scuola superiore. Alle medie, però, Gio è stato protagonista di un episodio spiacevole. «Incontrò un’educatrice che gli scrisse “asino” in fronte facendolo girare per le classi perché si era comportato male, – racconta Andre – Gio quando conosceva una persona nuova tendeva a non darle retta, e l’educatrice l’aveva punito così. È stato un episodio che l’ha segnato, per un periodo Gio non voleva più andare a scuola, piangeva, era tornato indietro negli atteggiamenti, si tagliava i capelli. Quando lo siamo venuti a sapere, l’abbiamo fatto presente all’istituto ed è stata allontanata dalla scuola».

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Vivere con la sindrome di Down

Convivere con un fratello con la sindrome di Down non è una passeggiata. Significa armarsi di pazienza, amare oltremisura, scendere a compromessi, fare rinunce e sacrifici. «Avere un fratello con la sindrome di Down è un impegno, – prosegue Andre – anche se siamo felici e stiamo bene, a volte mi chiedo come sarebbe stata la nostra vita senza la sindrome… Però mi rispondo che senza un cromosoma in più Gio non sarebbe Gio».

Accettare la sua stessa disabilità non è stato facile per Gio. «Abbiamo avuto vere e proprie discussioni – ci racconta Andre – lui veniva in camera mia, ci sedevamo sul letto e mi diceva, piangendo: “Io non sono disabile… Canto, ballo, scherzo come tutti”. Oggi ne ha preso consapevolezza e ne parliamo senza filtri». «Il problema – continua Andre – è che la parola “Down” viene purtroppo utilizzata troppe volte impropriamente, come offesa, in modo dispregiativo, e questo innervosisce Gio, e innervosisce anche me». È diventato virale, infatti, un video su TikTok in cui Gio racconta di aver ricevuto un insulto per la sua disabilità, a cui lui ha ribattuto con la goliardia che lo contraddistingue.

Gio e Andre sono inseparabili, anzi, non si immaginano un futuro l’uno senza l’altro. Solo all’ipotesi che il suo fratellino se ne vada senza di lui, Gio scuote il capo: «No, sempre con lui» ci risponde. «I nostri genitori sono abbastanza anziani, quindi nella mia vita c’è il progetto di andar via con Giovanni. – conclude Andre – Sono consapevole di essere legato a lui, non è che posso dire: “Prendo e vado a Vivere a Milano”. Ma Gio non è un peso per me, il nostro rapporto è davvero forte».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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