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29 Gennaio 2024
15:00

Il bimbo di Aprilia, il video diffuso e quella caccia alla madre che non tutela né le donne né i bambini

Una donna ha lasciato il proprio bambino alle cure dell'ospedale di Aprilia, in provincia di Latina. Poche ore dopo sono circolati online i video delle telecamere di sicurezza che ritraevano il gesto della donna. Minare alla sua privacy e a quella del minore, ha innescato una caccia all'uomo che interferisce anche sulle possibilità di sopravvivenza di quei bimbi, appena nati o ancora nel pancione, che i loro genitori non possono crescere.

A cura di Sophia Crotti
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Il bimbo di Aprilia, il video diffuso e quella caccia alla madre che non tutela né le donne né i bambini
passeggino in ospedale

Non si conoscevano ancora le condizioni di salute del neonato lasciato al Pronto soccorso di Aprilia, quando hanno iniziato a circolare sui social e in televisione le immagini delle telecamere di sicurezza dell'Ospedale in provincia di Latina, che lo ritraevano insieme a una donna.

Il video, ormai di dominio pubblico, come tutto ciò che arriva in rete e lì vi rimane intrappolato per sempre, mostra i pochi attimi durante i quali, una donna si è addentrata nel pronto soccorso dell'ospedale, spingendo la navicella contenente il bambino, si è seduta accanto a lui, come stesse aspettando di fare una visita o di farlo visitare e poi, piano piano è uscita dalla stanza, senza più farvi ritorno.

Di notizie simili negli ultimi due anni ne abbiamo sentite molte (non che prima i genitori non abbandonassero o non lasciassero i loro piccoli alle cure di chi se ne potesse prendere cura meglio di loro) scontrandoci con una realtà, forse difficile da accettare ma del tutto reale: portare in grembo un bambino e dunque generarlo biologicamente non significa per forza amarlo o avere i mezzi per prendersene cura.

Per questo esistono delle strutture chiamate "culle per la vita", diffuse non capillarmente sulla nostra Penisola, all'interno delle quali è possibile lasciare, in maniera del tutto anonima, il proprio bambino o la propria bambina, con la sicurezza che il personale medico se ne prenderà cura entro pochi secondi, quelli che permettono a chi lascia il bambino alle cure dell'ospedale di allontanarsi.

Al nosocomio di Aprilia e in tutto il comune, una culla termica pronta ad accogliere i bimbi lasciati da chi si è preso cura di loro fino a quel momento, non esiste. La donna ha però comunque lasciato il bambino alle cure del personale sanitario, portandolo all'interno della struttura ospedaliera, vestito di tutto punto, in ottime condizioni di salute e all'interno del suo passeggino.

L'assenza della culla quindi configura tecnicamente il reato di abbandono di minore, per il quale saranno le autorità competenti a decidere del futuro della donna, ma la diffusione a mezzo stampa dei video di sorveglianza hanno immediatamente innescato "una caccia all'uomo" che non solo lede il diritto alla privacy dell'eventuale responsabile, ma contribuisce ad alimentare quel meccanismo perverso di giudizio e persecuzione che in futuro potrebbe spingere un'altra madre disperata a lasciare il proprio piccolo in un ambiente sicuro, ma in qualche cassonetto o angolo angusto lontano da telecamere che potrebbero consentirne l'identificazione.

Dopotutto non è affatto la prima volta: come dimenticare l'appello social di Ezio Greggio che chiedeva alla mamma del piccolo Enea di tornare a prendere il suo bambino, nonostante lei o chi per esso, avesse esercitato il suo diritto, previsto dal Dpr 396/2000, di affidarlo alle cure del personale medico tramite la culla per la vita.

La gogna mediatica cui le donne che compiono scelte del genere vengono sistematicamente sottoposte, infatti, suggerisce, neanche troppo velatamente, che quei bambini sarebbero stati di gran lunga meglio con loro.

La verità è che questo nessuno di noi lo sa. Non possiamo sapere cosa abbia spinto lei o in generale possa portare una madre a lasciare il suo bambino per sempre. Sappiamo però che esistono persone in condizione di povertà estrema, chi vive forme di depressione perinatale o post partum, chi condizioni di violenza domestica, chi oggi ha un bambino nella pancia e trema al solo pensiero del futuro, perché non può proprio tenerlo.

Ledere fino a questo punto la dignità e la privacy di quella donna che ha lasciato il piccolo alle cure dell'ospedale significa anche minare alla sopravvivenza di tutti quei bambini già nati o che nasceranno, che le loro famiglie o chi li porta in grembo non può tenere.

La culla per la vita, che sostituisce quella che un tempo era la ruota degli esposti, è nata proprio con l'intenzione di salvare la vita di questi bambini. Allo stesso modo misure legali come il parto in anonimato o il fatto che questo anonimato sia garantito a chi lascia il proprio bimbo alle cure di un ospedale vogliono prevenire abbandoni che porterebbero i piccoli alla morte o il suicidio di una donna che non può più abortire ma ormai quel figlio lo ha in grembo.

Il garante per la privacy è dunque intervenuto con un comunicato stampa definendo lesive della dignità della donna le immagini pubblicate e in netto contrasto con le disposizioni della normativa sulla privacy e delle regole deontologiche relative all’attività giornalistica.

L'unica cosa davvero di interesse pubblico di questa vicenda o di quelle simili è che un bambino di pochi mesi, ora affidato a una casa famiglia, sta bene e presto troverà una famiglia in grado di amarlo e crescerlo. Così che nessuna donna si senta sola o in difetto se questa sarà la sua scelta per il futuro del suo bambino, e sappia che nessuno contesterà mai la sua scelta, di cui ha il diritto.

Oggi, invece, alla luce della pubblicazione di quel video, deve essere di interesse pubblico è anche la consapevolezza che questo bambino, quando un giorno qualcuno gli rivelerà la verità sul suo passato, potrà avere accesso con un click a quelle immagini, provando non poca sofferenza e magari vivendo un trauma del quale neanche conosciamo la portata.

A tutti noi dovrebbe essere ben chiaro che l'amore per un figlio è un privilegio, non un sentimento istintuale e, soprattutto, possibile a tutte le donne e a tutti gli uomini. Lasciare un bambino, biologicamente proprio, alle cure di chi potrà prendersene cura meglio, può essere un atto d'amore immenso, che ad oggi fatichiamo ancora a capire e di cui ancora non abbiamo trovato le giuste parole per parlare.

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Sophia Crotti
Redattrice
Credo nella bontà e nella debolezza, ho imparato a indagare per cogliere sempre la verità. Mi piace il rosa, la musica italiana e ridere di gusto anche se mi commuove tutto. Amo scrivere da quando sono piccola e non ho mai smesso, tra i banchi di Lettere prima e tra quelli di Editoria e Giornalismo, poi. Conservo gelosamente i miei occhi da bambina, che indosso mentre scrivo fiduciosa che un giorno tutte le famiglie avranno gli stessi diritti, perché solo l’amore (e concedersi qualche errore) è l’ingrediente fondamentale per essere dei buoni genitori.
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