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13 Ottobre 2023
18:00

Ittiosi Arlecchino: cos’è e come si cura questa grave malattia genetica della pelle

L’ittiosi Arlecchino è una grave malattia genetica della pelle che colpisce un neonato su 300mila. Il sintomo più evidente è la pelle dura, squamosa e secca. Purtroppo non esiste una cura definitiva e la mortalità alla nascita è elevata, anche se negli ultimi anni grazie al supporto medico intensivo e al progresso delle cure l’aspettativa di vita si sta alzando.

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Ittiosi Arlecchino: cos’è e come si cura questa grave malattia genetica della pelle
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L’ittiosi Arlecchino (o feto Arlecchino, ittiosi diffusa o cheratosi fetale diffusa) è una grave malattia genetica della pelle. Il suo nome bizzarro è legato all’aspetto della pelle che, alla nascita del bambino, è particolarmente dura ed è frammentata in grosse placche a forma di diamante, simili alle squame di pesce. È immediatamente riconoscibile perché si manifesta con un ispessimento cutaneo e la presenza di “squame” sul corpo. In più, compaiono altri chiari segnali fisici, quali il rovesciamento delle palpebre (ectropion), orecchie appiattite, occhi che non si chiudono (edema congiuntivale), labbro rivolto verso l’esterno (eclabium), naso ampio, mani e piedi piccoli e gonfi. Si tratta di una patologia rara, che colpisce circa un neonato su 300mila, come riporta il NIH, tuttavia la mortalità alla nascita è elevata.

Che cos'è l'ittiosi arlecchino

L’ittiosi “Arlecchino” (HI) è la variante più grave dell’ittiosi congenita autonomia recessiva (ARCI). I piccoli affetti da ittiosi congenita nascono prematuri con una pelle dura, caratterizzata da grandi placche ispessite e secche simili a delle squame, separate da fessure profonde che coprono l’intera superficie del corpo. Se il bambino sopravvive, le placche dure sono destinate a cadere e la pelle sviluppa squame e arrossamenti diffusi.

Cause dell'ittiosi arlecchino

Trattandosi di una malattia genetica, viene trasmessa dai genitori, entrambi portatori del gene difettoso. Se sia la mamma che il papà sono portatori del disturbo, c’è una probabilità su quattro (del 25%) che il piccolo nasca con questo tipo di ittiosi e una probabilità su 2 (50%) che erediti il gene difettoso senza tuttavia sviluppare la condizione (portatore sano).

Le gravi anomalie cutanee, tipiche dell’ittiosi “Arlecchino”, sono causate dalle mutazioni nel gene ABCA12, quello che fornisce le istruzioni per produrre le proteine essenziali per il normale sviluppo delle cellule della pelle.

Sintomi dell'ittiosi arlecchino

Il sintomo principale dell’ittiosi è la pelle secca, spessa, ruvida e squamosa alla nascita. Una condizione cutanea che a sua volta causa altri sintomi fisici, quali il rovesciamento delle palpebre (ectropion), orecchie appiattite, occhi che non si chiudono (edema congiuntivale), labbro rivolto verso l’esterno (eclabium), naso ampio, mani e piedi piccoli e gonfi. Nei neonati l’ittiosi arlecchino limita la mobilità di braccia e gambe e causa disidratazione, bassa temperatura corporea, problemi respiratori e di alimentazione, infezioni nelle fessure della pelle.

La mortalità è elevata ed è difficile che il piccolo superi le sue prime ore di vita. Tuttavia, se sopravvive, i sintomi e i segni della malattia sono destinati a mutare. La membrana di collodio lascia il posto ad una cute arrossata e caratterizzata da larghe squame. Il piccolo può manifestare un ritardo nello sviluppo motorio e sociale, ma non necessariamente mentale. A volte durante l’infanzia e la prima età adulta l’ittiosi si accompagna con:

  • Caratteristiche facciali insolite
  • Capelli radi e sottili
  • Riduzione dell’udito a causa della presenza di squame nelle orecchie
  • Scarsa mobilità delle dita per la pelle tesa
  • Unghie spesse
  • Ectropion persistente
  • Infezioni cutanee ricorrenti
  • Sudorazione massiccia

Diagnosi

Si può diagnosticare l’ittiosi Arlecchino già in gravidanza grazie a un’analisi non invasiva e abbastanza precoce del DNA del feto, solitamente effettuata durante il secondo trimestre di gravidanza. Si tratta di una novità rispetto al passato, quando la patologia veniva individuata attraverso una fotocopia, un esame invasivo che prevedeva la biopsia della cute del feto in fase avanzata di gestazione.

Se non si è proceduto con una diagnosi prenatale, l’ittiosi Arlecchino viene diagnosticata alla nascita sulla base dell’aspetto del piccolo e viene confermata attraverso test genetici.

In caso di una storia familiare di ittiosi, ha senso rivolgersi a un consulente genetico e valutare l’ipotesi di un test per capire se entrambi i partner della coppia sono portatori della malattia.

Cura e aspettativa di vita

I neonati con ittiosi Arlecchino nascono prematuri e generalmente muoiono pochi giorni dopo perché la malattia causa una disregolazione della temperatura corporea, problemi alimentari, infezioni e disturbi respiratori. Tuttavia, negli ultimi anni grazie al supporto medico intensivo e al progresso delle cure, i piccoli nati con ittiosi Arlecchino hanno un’aspettativa di vita più alta (fino all’adolescenza e alla prima età adulta), anche se non si può guarire definitivamente. Non esiste infatti una cura, ma esistono dei trattamenti utili.

Nelle sue prime ore di vita, il piccolo viene posizionato in un’incubatrice riscaldata all’interno della terapia intensiva neonatale. A volte viene alimentato tramite sonda e gli vengono somministrati retinoidi contro la pelle dura e squamosa e antibiotici per prevenire infezioni. La pelle viene coperta con bende e si utilizzano colliri e dispositivi di protezione per gli occhi.

Se il piccolo sopravvive, occorre continuare a trattare con cura la sua pelle negli anni, mantenendola pulita ed elastica per evitare il rischio di infezioni. Dopo la doccia si applicano unguenti e creme idratanti e a volte si somministrano retinoidi orali, che aiutano ad ammorbidire la pelle.

Esistono testimonianze di bambini sopravvissuti. Una di queste è il caso di Hannah e Lucy Betts, due sorelle inglesi entrambe affette da ittiosi Arlecchino che hanno oltrepassato l'adolescenza e hanno raggiunto l'età adulta. Hannah è morta nel 2022 all’età di 32 anni a causa di un tumore, mentre Lucy oggi ha 36 anni.

Le informazioni fornite su www.wamily.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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