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1 Aprile 2024
15:00

Late talkers e late bloomers: chi sono i bambini che sviluppano in ritardo il linguaggio

I late bloomers rappresentano una sottocategoria dei late talkers (o parlatori tardivi) e indicano i bambini che intorno ai 3 anni recuperano il divario linguistico "sbocciando" leggermente in ritardo rispetto ai coetanei. Il ritardo nel linguaggio non è automaticamente sintomo di un disturbo del linguaggio.

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Late talkers e late bloomers: chi sono i bambini che sviluppano in ritardo il linguaggio
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“Mamma”, “papà”, “tata”, “pappa”… Chi se le scorda le prime paroline del piccolo? Iniziano a essere pronunciate intorno all’anno di età (tra i 9 e i 18 mesi di vita) e precedono l’imminente esplosione di vocaboli (a volte buffamente storpiati), anche se esistono delle eccezioni nelle tempistiche. Sono chiamati late talkers (tradotto, «parlatori tardivi») i bambini che all’età di 24 mesi hanno un vocabolario piuttosto esiguo, di circa 50 parole, e hanno difficoltà ad articolare il linguaggio combinatorio, cioè a comporre frasi brevi. Tanti di loro con il tempo riconquistano terreno sui coetanei, riuscendo a colmare il divario linguistico: sono i late bloomers (dall’inglese, «fioritura tardiva»), i bambini che “sbocciano” leggermente in ritardo rispetto ai coetanei. E se invece il ritardo nell’esordio del linguaggio o la povertà lessicale persiste oltre i 36 mesi? A volte viene diagnosticato un disturbo del linguaggio, tuttavia essere un “late talker” non significa automaticamente sviluppare il Disturbo Specifico del Linguaggio: sono due condizioni diverse.

Late talkers e late bloomers

Sono chiamati late talkers i piccoli che a 2 anni presentano un vocabolario ridotto (meno di 50 parole) e non sono in grado di produrre combinatorie, cioè di combinare due parole insieme (ad esempio, si esprimono con “Mamma, palla!” anziché “Mamma, voglio la palla”).

I late bloomers invece rappresentano una sottocategoria dei late talkers. In sostanza, i piccoli che fioriscono tardivamente sono late talkers che intorno ai 3 anni recuperano il divario linguistico con i coetanei e arrivano a produrre proposizioni complesse con un discreto vocabolario.

L’ASHA (Associazione Americana per l’Udito-Linguaggio) spiega che all’esordio è difficile distinguere i bambini late talkers che in seguito non “sbocciano” dai late bloomers perché la differenziazione avviene a posteriori: se il piccolo superati i 36 mesi “sboccia” colmando il gap linguistico è ufficialmente un bambino a fioritura tardiva. Se invece le difficoltà linguistiche si protraggono, non lo è.

Tuttavia, delle ricerche suggeriscono delle piccole differenze iniziali:

  • I “late bloomers” utilizzano più gesti comunicativi rispetto ai “late talkers” che non “sbocciano”
  • I “late bloomers” hanno meno probabilità di avere ritardi nella comprensione del linguaggio, oltre che nella locuzione, rispetto ai “late talkers” che non “sbocciano”

Incidenza

Secondo quanto riporta l’ASHA, il ritardo nello sviluppo del linguaggio riguarda il 10-20% dei bambini di 2 anni, mentre cala al 13,5% tra i 18 e i 23 mesi e risale tra i 30 e i 36 mesi (16-17,5%). I maschi hanno una probabilità tre volte superiore rispetto alle femmine di essere late talkers.

Perché alcuni bambini parlano più tardi?

Partiamo da un presupposto: una causa dei “late talkers” non esiste. Tuttavia, esistono delle variabili che potrebbero avere un ruolo nello sviluppo del vocabolario più limitato rispetto ai coetanei e nelle difficoltà a produrre frasi brevi a 2 anni, quali:

  • Sesso: i maschi sono più a rischio delle femmine
  • Sviluppo motorio: degli studi hanno riscontrato nei late talkers uno sviluppo motorio ritardato rispetto a quelli con sviluppo tipico
  • Condizioni alla nascita: i nati prematuri o sottopeso presentano un rischio più elevato di ritardo nel linguaggio
  • Storia familiare: chi ha un genitore “ex late talker” è più a rischio di esserlo a sua volta
  • Istruzione e status socioeconomico della famiglia
  • Legame affettivo: la relazione instaurata con l’adulto è essenziale nella crescita e nello sviluppo del figlio

Si ricorda, comunque, che non sempre i piccoli rispettano le tappe di sviluppo del linguaggio, e ciò non significa che ci sia per forza un problema. Ogni bambino ha i suoi tempi e le sue modalità per raggiungere gli step evolutivi, senza procedere necessariamente per livelli.

Come intervenire

Quando il genitore si accorge che il piccolo manifesta delle difficoltà nel linguaggio, è opportuno chiedere il parere del pediatra, che eventualmente lo indirizzerà da un logopedista.

Lo specialista ha il compito di valutare il ritardo del giovane paziente e identificarne la natura. Se non rileva né sospetta altri ritardi o disabilità dello sviluppo generalmente si procede con il monitoraggio regolare, a volte accompagnato dalla stimolazione linguistica indiretta (come lettura di libri, gruppi di gioco, comunicazione multimodale, cioè a parole, a gesti, segni, immagini).

In generale, è utile che l’adulto stimoli il figlio con rinforzi positivi, adottando delle strategie come leggere insieme per apprendere nuovi vocaboli e al contempo consolidare il legame affettivo oppure nominare i termini e i nomi degli oggetti che vedono intorno per coinvolgerlo e ampliare il vocabolario del piccolo.

Se però il ritardo persiste nel tempo (e quindi il piccolo superati i 3 anni non “sboccia” in un late bloomer) o vengono riscontrati o sospettati altri ritardi o disabilità (come il disturbo dello spettro autistico, il disturbo dell’udito, la disabilità intellettiva…) lo specialista sviluppa un piano di intervento, coinvolgendo la famiglia ed eventualmente altri professionisti.

Late talkers e disturbi del linguaggio

Il ritardo nel linguaggio non è automaticamente sintomo di un disturbo del linguaggio, come il Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL), altrimenti chiamato Disturbo dello Sviluppo del Linguaggio (DLD). Come riporta l’ASHA, circa il 50-70% (pari alla metà o più) dei piccoli late talkers raggiunge i coetanei e dimostra un normale sviluppo del linguaggio entro la tarda età prescolare e scolare. Secondo le stime, ad avere un disturbo del linguaggio a 7 anni è un “ex late talker” su cinque.

Tuttavia, per alcuni bambini il ritardo nel linguaggio è a volte un indicatore precoce di compromissione del linguaggio. Il disturbo del linguaggio, tra l’altro, è un fenomeno in crescita: oggi, secondo i logopedisti, 1 bambino su 14 presenta un Disturbo Primario del Linguaggio (DPL). Monitorare i progressi del figlio lungo le sue fasi dello sviluppo è essenziale per, eventualmente, intervenire tempestivamente.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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