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16 Maggio 2023
15:34

Michela Murgia racconta la sua “queer family”: «Io e Claudia siamo una coppia omogenitoriale. Parlarne è una necessità politica»

Michela Murgia sta incuriosendo i social con i racconti sulla sua famiglia queer, tra «figli dell’anima», un futuro marito, una relazione omogenitoriale e conviventi "sposi". Il significato di "queer family" per la scrittrice? Prendersi cura l’uno dell’altro, a prescindere dal corredo genetico.

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Michela Murgia racconta la sua “queer family”: «Io e Claudia siamo una coppia omogenitoriale. Parlarne è una necessità politica»
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Michela Murgia ha raccontato che la sua è una «famiglia queer». “Queer” nel significato più ampio e inclusivo del termine: di condivisione, di libertà, di «responsabilità reciproca», di vita familiare senza etichette né ruoli prestabiliti. La scrittrice, che recentemente ha dichiarato di essere affetta da un «carcinoma renale al quarto stadio», ha acquistato una casa con dieci letti per ospitare al completo la sua famiglia fuori dal comune. Con alcuni di loro convive già da anni, anche se prima non l’aveva mai rivelato. Ha un futuro marito, con cui convolerà a nozze a breve, ha quattro «figli dell’anima», chiama i membri della famiglia “sposi”, e ha una compagna, Claudia, con cui ha creato l’«unica coppia omogenitoriale» della queer family.

Che cosa significa queer family?

In una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera, Michela Murgia ha definito la sua «queer family» come «un nucleo familiare atipico, in cui le relazioni contano più dei ruoli. Parole come compagno, figlio, fratello non bastano a spiegarla». Nella sua concezione di famiglia, conta il prendersi cura l’uno dell’altro, e non l’essere legati da un legame di sangue. Anzi, la genetica e i rapporti biologici non interessano ai membri della famiglia senza etichette. I figli della scrittrice, non sono figli biologici: sono «figli dell’anima», il frutto di  incontri avvenuti nel corso della vita e di relazioni profonde intessute con quelli che inizialmente erano estranei.

Perciò la «queer family» di Murgia non è una famiglia allargata, né una famiglia arcobaleno. È una famiglia i cui membri sono legati dall’accudimento reciproco e non dalla parentela. La definizione della scrittrice, tuttavia, ha creato un po’ di confusione e di malintesi. “Queer”, infatti, è un termine che rimanda alla comunità Lgbtq+ ("q" è l'acronimo di "queer") e nel linguaggio comune è utilizzato per identificare chi non si riconosce come eterosessuale. Ma, prima di tutto, “queer” è un termine inglese che propriamente significa «sessualmente, etnicamente o socialmente eccentrico rispetto alle definizioni di normalità codificate dalla cultura egemone», in passato utilizzato in senso dispregiativo.

Ecco, allora, perché la scrittrice l'ha scelto per designare la sua famiglia fuori dagli schemi. Perché, spiega, «usare categorie del linguaggio alternative permette inclusione, supera la performance dei titoli legali, limita dinamiche di possesso, moltiplica le energie amorose e le fa fluire».

Com’è composta la famiglia di Michela Murgia

La saga di «queering the family», a firma di Murgia, sta appassionando i social, dove la scrittrice sta pubblicando giorno per giorno pillole di vita e fotografie della sua queer family. Chi sta con chi? Chi bacia chi? Chi è figlio di chi? Le chiedono insistentemente sotto ai post.

Murgia ha un futuro marito, l’attore e regista Lorenzo Terzi, con cui si sposerà a breve, e ha una compagna, Claudia, con la quale ha un «figlio dell’anima», Raphael. Come racconta in un lungo post, Raphael aveva 9 anni quando l’ha conosciuto per la prima volta, insieme alla madre Claudia: quella sera è scoccata la scintilla fra i tre, e da quel giorno Michela e Claudia, anche se le cose intorno a loro sono cambiate, non hanno mai smesso di essere le due madri di Raphael. Per anni le due hanno vissuto come madri in casa e come amiche all’esterno, mentre oggi hanno deciso di uscire allo scoperto. «Nella nostra famiglia queer, io e Claudia siamo l’unica coppia omogenitoriale, perchè da dodici anni condividiamo un figlio, Raphael».  Oltre a lui, Murgia ha altri tre «figli dell’anima», tutti maschi.

«Nella famiglia cosiddetta tradizionale i sentimenti sono vincolati ai ruoli, mentre nella queer family è esattamente il contrario – spiega Murgia in uno dei suoi post Instagram – i ruoli sono maschere che i sentimenti indossano quando e se servono, altrimenti è meglio mai».

Raccontare della sua famiglia queer è per la scrittrice una «necessità politica» al momento, essendoci «un governo che per le famiglie non riconosce altro modello che il suo».

La quotidianità in una queer family

Che cosa accade fra le mura di una casa queer? «È un posto dove si organizza la responsabilità reciproca, non le scopate».

Ho trovato casa, per le rate un modo troveremo, organizziamo il lavoro, curiamo le fragilità, ritira la tintoria, bagna le piante, ho preso gli agretti per la cena insieme di domani, mamma ti manda il panettone, non preoccuparti di questo, chiama l’idraulico, ci penso io, ci pensiamo noi. Nessun “ti amo” varrà mai quando un “ci penso io”
Michela Murgia

La scrittrice ha rivelato di aver comprato una casa con dieci posti letto che accoglierà la sua numerosa famiglia. E agli utenti social che la tempestano di domande sulla vita sessuale della atipica famiglia, Murgia ha incalza: «Perché sessualizziamo così tanto le famiglie non tradizionali e romanticizziamo quelle binarie? – ha scritto – perché legittimare un solo modello implica proprio questo: indurci a pensare che le cose in quella cornice avvengano in modo ‘normale' e che tutte le altre situazioni siano luoghi senza regole, dove si praticano stravizi sessuali in una specie di orgia permanente e instabile».

Una famiglia originale, per come è tradizionalmente inteso il nucleo familiare, che dissacra i tabù e scardina i pregiudizi, con un unico imperativo: quello di curarsi dell’altro, a prescindere dal corredo genetico.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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