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8 Marzo 2023
14:00

Part-time (in)volontari per le mamme: quando il lavoro a tempo parziale è una scelta obbligata

Part-time involontario per imposizione del datore di lavoro o come scelta obbligata per badare alla famiglia. In entrambi i casi è un fenomeno che colpisce prevalentemente le mamme: per tante di loro quello famiglia-lavoro diventa un gioco ad esclusione.

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Part-time (in)volontari per le mamme: quando il lavoro a tempo parziale è una scelta obbligata
Mamma lavoro

È chiamato part-time «involontario» il contratto di lavoro a tempo parziale accettato in assenza di una proposta di lavoro a tempo pieno. Secondo l’Istat, è un fenomeno che coinvolge soprattutto il mondo femminile. I numeri lo certificano chiaramente: su 100 donne occupate, circa 18 lavorano con un orario ridotto non per scelta ma per imposizione, contro 6 uomini su 100. Di queste 18 lavoratrici, la maggior parte sono mamme single e in seconda battuta mamme con un partner, mentre la percentuale minore è rappresentata dalle quote rosa non coniugate e senza figli. È forse una coincidenza? La risposta, ovviamente, è no.

Il gap di genere nel mondo del lavoro non è una novità. Una differenza, quella fra le quote rosa e quelle blu, che incide anche sulle ore lavorate. Sulla scrivania del datore di lavoro, quasi la metà dei contratti sotto le canoniche 40 ore settimanali sono siglati da donne. Un bilancio che peggiora se quelle donne hanno il "difetto" (lo è per il mondo del lavoro e per la società in cui viviamo) di essere madri.

Ma il lavoro a tempo parziale non è sempre un dictum imposto dall’alto: a volte, è una scelta obbligata. Rinunciare a metà, o quasi, delle ore di lavoro diventa l’unica strada percorribile per mamme che, ancora oggi, sono costrette a gestire le attività extradomestiche (in primis, quella professionale) in funzione del lavoro casalingo e di cura della famiglia.

La vita delle mamme è spesso in equilibrio tra casa, figli, partner

Conciliare vita lavorativa, coniugale e genitoriale è un'impresa titanica, specie con un tasso di disparità di genere nello sbrigare le faccende di casa che ammonta al 62,6%. Le mamme corrono trafelate tra scuola, nonni (se fortunatamente sono presenti), ufficio, supermercato, e rimpinzano l’agenda di promemoria e post-it su cui annotano la lezione di danza della figlia delle 17 e la visita oculistica del piccolo delle 15, senza concedersi il privilegio della dimenticanza.

Mamma lavoratrice

Quindi, lavoro o famiglia? Per tante lavoratrici con pargoli a carico è un gioco ad esclusione.

Lo dimostrano ancora una volta i dati, secondo cui il numero di quote rosa che si destreggiano fra pannolini e ufficio è decisamente inferiore a quello delle lavoratrici senza figli o con figli già grandi. Se il 73,9% delle donne che non sono genitori lavora, nel caso di mamme con figli di età inferiore ai 6 anni solo il 53% ha un contratto attivo. La percentuale tracolla nel Mezzogiorno: nella punta e nel tacco dello Stivale hanno una professione 35 neomamme su 100.

Per le mamme quello lavoro-famiglia diventa un gioco ad esclusione

Uno dei motivi principali per cui si ricorre al part-time come unica soluzione per mantenersi in equilibrio tra nido familiare e sede di lavoro è la carenza di servizi per l’infanzia. Un report dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, ha rilevato, in riferimento al 2017, che in Italia sono circa 433.000 le mamme inattive o con un contratto di lavoro part-time a causa dell’inadeguatezza dei servizi di cura dei bambini.

88 mamme su 100 disoccupate o in part-time vorrebbero lavorare a pieno ritmo ma non sanno a chi affidare i figli

L’88% di loro vorrebbe ricominciare a lavorare a pieno ritmo, dedicare qualche ora in più alla carriera e realizzazione professionale o racimolare a fine mese uno stipendio più sostanzioso, ma l’inadeguatezza o l’insufficienza delle strutture, dei servizi e delle disponibilità offerti per le fasce d’età infantili impedisce di rispondere alla loro volontà.

mamma part time

Non tutti hanno i nonni a disposizione a cui affidare i pargoli, e i nidi, che ospitano i piccoli dai tre mesi ai 3 anni d’età, sono costosi, tanto che a volte "il gioco non vale la candela". In rete circolano fiumi di testimonianze di mamme costrette a lasciare il lavoro perché quello che guadagnano è quasi interamente destinato a coprire le spese di asilo e babysitter.

Il quadro che abbiamo dipinto non è dei più incoraggianti. Ricordiamo, tuttavia, che una fetta di mamme sceglie volontariamente di abbandonare il lavoro per dedicarsi a tempo pieno all’ultimo arrivato.

Non solo. A partire dal 2015 tra i diritti del congedo parentale rientra la possibilità di tramutare il contratto full-time in part-time per chi desidera ridurre le ore di lavoro nei primi anni di vita del piccolo, a patto che la riduzione oraria non superi il 50%. Anche se, anche in questo caso, la disparità di genere emerge chiara e tonda: nel 2019 a fruire del congedo parentale sono state circa 230.000 donne, a fronte di 61.162 uomini.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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