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8 Novembre 2023
10:00

Perché i bambini dicono «è mio!»?

A partire dai 18 mesi circa e fino più o meno ai tre anni, i bambini dicono sempre mio. L'essere possessivi e molto egocentrici è normale: si tratta del corretto sviluppo della propria individualità.

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Perché i bambini dicono «è mio!»?
Perché i bambini dicono "è mio!"?

«Mio» è la parola preferita di tutti i bambini. Ed è anche una delle prime che imparano a dire correttamente. I bambini dicono "mio" in un momento della loro vita in cui non hanno ancora ben chiara la distinzione tra sé e il resto del mondo. La fase possessiva e di forte egocentrismo è assolutamente normale e fisiologica per la crescita dei bambini. Impensabile per loro pensare di condividere un gioco o un oggetto che amano, figuriamoci farlo davvero.

Gli esperti consigliano di assecondare questo momento della crescita di ogni bimbo e di comportarsi con loro dando il buon esempio: da questo punto di partenza loro, in seguito, impareranno a condividere e a non considerare tutto di proprietà. La fase, infatti, ha uno sviluppo del tutto naturale: inizia, si consolida e prima o poi termina, quando il bimbo è più grandicello.

Perché i bambini dicono è mio?

A un certo punto della loro crescita, i bambini iniziano a dire che è tutto loro. Mio diventa la parola preferita, quella che sanno scandire alla perfezione e che non dimenticano mai di pronunciare. In questo momento, assolutamente fisiologico e normale per ogni piccoletto, il possesso verso oggetti, giocattoli e a volte anche persone può sembrare alquanto ossessivo. Agli occhi di un adulto, si tratta di comportamenti egoisti ed egocentrici. In realtà, è il corretto processo di crescita dei bimbi, durante il quale iniziano a costruire la propria personalità.

Lo stesso Piaget parlava di egocentrismo infantile almeno fino ai 7-8 anni. Un momento della vita di tutti i bambini in cui tutto ruota intorno a loro, perché non riescono a guardare dal punto di vista altrui, ma solo attraverso la propria visuale. I bimbi non hanno ancora una nitida distinzione tra sé e il resto del mondo. Quindi pensano solo a se stessi, a essere felici, ai propri bisogni. Ed è fondamentale che questo venga rispettato nei primi anni di vita, così da permettere loro di conoscere la realtà "sulla propria pelle", per poi iniziare a considerare anche altri punti di vista.

Quanto dura la fase del mio?

L'età del "mio", detto sempre e comunque, inizia più o meno a partire dai 18 mesi, raggiungendo il suo picco massimo intorno ai due anni e iniziando a scemare un po' intorno ai tre anni. Tra i 18 e i 24 mesi, infatti, i bambini iniziano a scoprire che c'è un confine tra quello che hanno dentro e quello che c'è fuori, tra loro stessi e gli altri. Inizia in questo momento il processo di identificazione del sé, con un progressivo distacco dalle figure di riferimento ( i genitori) che li porta a capire di essere individui autonomi con un proprio pensiero e una propria volontà. Questa è anche la fase dei primi no, utili per sperimentare e capire.

Io e mio sono due parole amatissime a questa età, perché i bambini sono convinti che tutto ruoti intorno a loro e tutto sia loro. Inoltre, sono parole facilissime da pronunciare, che pian piano li porteranno a maturare il concetto di possesso, dal quale poi potrà apprendere competenze sociali utili a capire che anche la condivisione è importante. Ma questo avverrà solamente più avanti nel percorso di crescita.

bambino tiene il suo gioco

Cosa fare se per il bambino è tutto suo e non condivide?

Nei primissimi anni della fase del "mio", obbligare i bambini a condividere potrebbe essere controproducente, perché stanno maturando una propria personale conoscenza del mondo esterno che, in questo modo, verrebbe ostacolata. Frequentando gli asili nido o la scuola dell'infanzia, è bene però aiutare i piccoli, pian piano e con i loro tempi, a superare l'egocentrismo infantile.

Come comportarsi, soprattutto in caso di liti tra bambini legate al possesso di un oggetto o di un gioco che entrambi vogliono?

  • gli adulti dovrebbero intervenire fungendo da modello senza forzare il processo di interazione tra pari e cercando di favorire la gestione di questa piccola conflittualità
  • a scuola, così come a casa, bisognerebbe aiutare i bambini a sperimentare l'empatia: mettersi nei panni degli altri, anche per gioco, aiuta a comprendere i sentimenti degli altri e a migliorare i propri comportamenti sociali
  • educare i bambini all'attesa e alla pazienza è fondamentale: soddisfare sempre e subito i loro bisogni non li aiuta a capire che a volte bisogna saper attendere
  • la condivisione si impara soprattutto tramite l'esempio che i bimbi percepiscono dal comportamento degli adulti
  • avere regole chiare può aiutare i bambini a comportarsi in caso di conflitti derivanti dal loro innato egocentrismo: in particolare a scuola, così come a casa, è bene avere delle regole di uso di giochi, materiali scolastico e altri oggetti
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