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12 Giugno 2023
9:00

Positive parenting, cos’è la genitorialità positiva e perché migliora il rapporto con il piccolo

La genitorialità positiva (o positive parenting) promuove un’educazione incentrata sull’empatia, sulla fiducia, sul confronto. Il genitore non è un despota che punisce e minaccia, né uno “yes man” morbido e permissivo, ma una guida accogliente per il figlio, che lo ascolta e gli spiega il perché dei suoi errori.

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Positive parenting, cos’è la genitorialità positiva e perché migliora il rapporto con il piccolo
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La genitorialità positiva (dall’inglese, positive parenting) è un approccio fondato sulle interazioni positive che s’instaurano fra genitore e figlio. Mamme e papà che mettono in atto la genitorialità positiva tendono a mostrare empatia e a offrire calore e supporto al piccolo, contenendo le reazioni di rabbia ed evitando la violenza fisica e verbale, le punizioni e i ricatti. Non significa essere genitori permissivi o amici dei figli: la positive parenting promuove un rapporto in cui l’adulto è una guida che impartisce regole e limiti, senza tuttavia assumere un ruolo autoritario. L’obiettivo è creare un ambiente positivo e produttivo, che metta a proprio agio il fanciullo, aiutandolo a comportarsi in maniera cooperativa e costruttiva e ad acquisire autonomia e indipendenza.

In sostanza, la genitorialità positiva prende le distanze dall’antiquata e superata genitorialità autoritaria e intollerante, che promuoveva un metodo educativo basato sull’uso della forza fisica, delle sgridate, delle punizioni. Condotte che, anziché alleviare, fomentavano lo stress e la frustrazione del genitore che le praticava e che avevano conseguenze negative sul figlio.

I punti chiave della positive parenting

I pilastri su cui è stata costruita la genitorialità positiva sono:

  • Empatia: una relazione fondata sull’empatia, sul rispetto, sul calore umano, sul supporto, sul mettersi nei panni dell'altro, nutre l’autostima del piccolo, la sua creatività, la sua fiducia nel futuro, la sua capacità di andare d’accordo con gli altri. Crescere con un genitore empatico, che di fronte a un “errore” del figlio, non risponde con la collera e l’impulsività, significa avere più libertà di esprimersi, lasciarsi andare, essere se stessi, essere sicuri di sé. Sostenere e supportare il pargolo vuol dire proteggerlo fisicamente ed emotivamente, così da offrirgli la motivazione ad impegnarsi, ad apprendere i suoi errori e a fare di meglio. I frutti di un approccio di questo tipo sono a breve e lungo termine: l’educazione di oggi influisce su quella di domani, perché contribuisce a costruire la persona che il piccolo diventerà.
  • Educazione gentile: la violenza non è mai la soluzione. Anzi, le punizioni corporali, le minacce, i ricatti emotivi si rivelano, a volte, controproducenti e danneggiano il bambino. Piuttosto che concentrarsi sull’errore del figlio per stigmatizzarlo e rimarcarlo, il genitore positivo sposta l’attenzione sui suoi punti di forza, sulle sue passioni, sui suoi pregi, sui suoi cavalli di battaglia, sui suoi talenti.
  • Relazione di guida, non amichevole: essere genitori positivi non equivale ad essere genitori morbidi, tolleranti o superficiali. L’adulto rimane un punto di riferimento per il piccolo, tuttavia, più che un despota, è una guida, che più che imporre regole, le impartisce.
  • Progetto educativo a lungo termine: nei momenti di stress e tensione è meglio concentrarsi sugli obiettivi a lungo termine, senza essere avventati e impulsivi. Se gestiamo con attenzione e cura le situazioni più complicate, potremmo trasformare quel momento in un'occasione per trasmettere al bimbo insegnamenti preziosi.

Cosa significa essere genitori positivi

Mettere in atto un’educazione positiva potrebbe avere benefici sul piccolo, riducendone eventuali problemi di attenzione, iperattività, aggressività, disagio da separazione o disagi sociali. Al contrario, un’educazione improntata alla prepotenza, educa, a sua volta, alla violenza.

Essere un genitore positivo non significa essere uno “yes man” – o, meglio, uno “yes parent”. Significa, invece, accompagnare per mano il figlio, indicandogli cosa è giusto e cosa è sbagliato: il genitore positivo non rimane indifferente o impassibile di fronte allo sbaglio del figlio, né reagisce con la collera, bensì lo aiuta a capire perché quel che ha fatto non va bene e non è da ripetere. Così, le situazioni critiche diventano occasioni di crescita.

Ritroviamo l’idea di positività nel preambolo della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che recita:

Il minore deve essere pienamente preparato ad avere una sua vita individuale nella società ed educato in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà.

I consigli di genitorialità positiva

Vediamo qualche consiglio per un approccio positivo alla genitorialità:

  • Trascorrere del tempo di qualità insieme: per il piccolo conta la qualità, non la quantità, delle ore trascorse in compagnia con noi adulti. Se siamo distratti, se stiamo guardando il telefono o siamo perennemente soprappensiero, il bimbo se ne accorge. Leggere ad alta voce un libro delle favole, instaurare un dialogo – per quanto semplice – con lui, giocare insieme, insegnargli a raccogliere le foglie in giardino, osservare il mondo fuori dalla finestra insieme, sono azioni che potrebbero apparire banali, ma che rimangono i capisaldi di una genitorialità positiva. Sono azioni, momenti, che ci permettono di instaurare con il piccolo interazioni positive.
  • Lasciarlo libero di spiegare il perchè del suo comportamento o della sua richiesta: se il bimbo ha commesso una marachella o qualcosa che non approviamo, lasciamogli lo spazio per raccontarci la sua versione dei fatti. Potrebbe essere un’occasione costruttiva per ragionare insieme sull’accaduto e aiutarlo a trovare una soluzione positiva.
  • Entrare in sintonia con lui: scendiamo dal nostro piedistallo “da adulti” per addentrarci nel suo mondo in punta di piedi, aiutandolo ad aprirsi, ad avvicinarsi e a nutrire fiducia verso di noi e in se stesso.
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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