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21 Febbraio 2024
17:00

Spopola online la challenge dei bambini che dicono le parolacce in bagno. Il pedagogista: «È un paradosso»

La bad word in bathroom challenge è ormai virale sui social. I genitori chiedono ai bimbi di dire tutte le parolacce che conoscono in pochi secondi quando sono da soli in bagno, intanto li filmano e postano online il contenuto. Ma siamo sicuri che sia un metodo educativo valido?

A cura di Sophia Crotti
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Spopola online la challenge dei bambini che dicono le parolacce in bagno. Il pedagogista: «È un paradosso»
In collaborazione con il Dott. Luca Frusciello
Pedagogista e membro del comitato socio-scientifico di Wamily
parolacce in bagno

«Adesso io esco dal bagno e tu hai 1 minuto per dire tutte le parolacce che conosci». Inizia così la challenge che spopola sui social e che vede protagonisti i bambini, i loro genitori e il loro bagno.

Si chiama "bad word bathroom challenge" e arriva dagli Stati Uniti, ma come tutti i contenuti virali si è presto diffusa anche in Italia. Oggi sono moltissimi i profili Instagram e Tiktok in cui compaiono bambini di pochi anni, che davanti ad una telecamera spremono le loro meningi per ricordare e ripetere le parole più brutte che conoscono.

Le parolacce, quelle che i grandi dicono con gran facilità ma chiedono ai bimbi di non ripetere, per mantenere almeno in giovane età il candore e la purezza che contraddistinguono l'infanzia, sono al centro di questo esperimento. Riprodurlo è molto semplice, basta entrare in bagno con il proprio bimbo, metterlo davanti allo specchio e spiegargli le regole del gioco:

  • Hai 1 minuto per dire tutte le parolacce che conosci
  • Puoi dire le parolacce solo in bagno e da solo
  • Guarda in camera e ripeti le parolacce che ti vengono in mente
  • Quando busserò dovrai smettere

I video che spopolano online seguiti dall'hashtag #badwordbathroomchallenge sono molto buffi e raccolgono molti likes, commenti e consensi dagli utenti. I bimbi impazziscono di gioia all'idea di avere un minuto per contravvenire a qualsiasi regola imposta loro da genitori e insegnanti, con l'entusiasmo che caratterizza ognuno di noi quando ci è concesso fare qualcosa di proibito. Poi sembrano un po' in imbarazzo e dicono goffamente parole come "cacca", "pupù", "culo", alcuni si lasciano andare anche a parolacce più serie che ripetute con la loro parlata dolce sembrano non avere lo stesso peso che hanno nella vita degli adulti.

Sono stati tanti e contrastanti i pareri a riguardo, la challenge più che un momento educativo di sfogo per i bambini sembra avere un significato per gli adulti. Le parole che dicono i bambini talvolta sono le stesse che ai genitori scappano quando sono molto arrabbiati e che i piccoli assorbono come fossero spugne.

Della challenge sono state criticate principalmente due cose dagli utenti, innanzitutto il rendere pubblico, all'insaputa del bambino, un suo momento intimo, durante il quale si lascia andare diventando altro da sé. In secondo luogo, grazie alla challenge si associa il bagno ad un luogo sicuro, in cui è concesso dunque dire le parolacce o comportarsi male, come se per forza quando si è in un posto sicuro ci si dovesse comportare male.

Ma ad essere educativo non è questo esperimento, quanto più spiegare ai bambini che le parolacce non si dicono perché feriscono gli altri, perché anche nei momenti di rabbia, quando delle brutte espressioni possono scappare è sempre meglio cercare un dialogo positivo che aiuti a superare il momento di nervosismo.

Il parere del pedagogista

Il valore educativo di ogni azione dei genitori dipende sempre dalla loro intenzione e dal loro obiettivo, ma non si può dimenticare che qualsiasi cosa si chieda ai propri figli, sia un modo per spiegare loro come funziona il mondo. Il fatto è che con questo trend che gira sui social stiamo mettendo i bambini davanti a una telecamera, mentre dicono frasi e parole che generalmente chiediamo loro di non dire mai in contesti sociali per poi pubblicarle su un social, è evidentemente un paradosso.

In secondo luogo questa attività non è nemmeno educativa, stiamo chiedendo ai bambini di dire le parole più brutte che passano nella loro testa per scoprirle e poi pubblicarle su un social e incuriosire gli utenti. Ci sono modalità più sane per comprendere cosa passa nella testa dei nostri bambini, e soprattutto non tutto quello che passa nella loro testa deve essere noto ai genitori o peggio al mondo intero.

Se il bimbo in questione poi sa benissimo che le parolacce non si dicono e magari gli scappano ogni tanto, come è normale che sia, che senso ha fargliele dire? Banalizzare così la sua capacità di adattare le parole alle situazioni sociali, spettacolarizzandola non è proficuo né per lui, né per i genitori.

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Sophia Crotti
Redattrice
Credo nella bontà e nella debolezza, ho imparato a indagare per cogliere sempre la verità. Mi piace il rosa, la musica italiana e ridere di gusto anche se mi commuove tutto. Amo scrivere da quando sono piccola e non ho mai smesso, tra i banchi di Lettere prima e tra quelli di Editoria e Giornalismo, poi. Conservo gelosamente i miei occhi da bambina, che indosso mentre scrivo fiduciosa che un giorno tutte le famiglie avranno gli stessi diritti, perché solo l’amore (e concedersi qualche errore) è l’ingrediente fondamentale per essere dei buoni genitori.
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