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13 Maggio 2023
9:00

Abbandono, affidamento e adozione: cosa sono e come funzionano secondo la legge italiana

Le ultime vicende di cronaca, riguardanti il caso della clinica Mangiagalli di Milano, hanno riacceso i riflettori su questioni inerenti abbandono, affidamento e adozione dei minori. Cerchiamo di far luce sugli aspetti giuridici più rilevanti della questione, dipanando dubbi e inesattezze.

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Abbandono, affidamento e adozione: cosa sono e come funzionano secondo la legge italiana
Giurista, Mediatrice Familiare e Criminologa Clinica
abbandono, affidamento, adozione

La Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 dispone che, in qualsiasi situazione riguardante un bambino, debba essere data primaria rilevanza alla tutela del suo “best interest”. Quello del “preminente interesse” del minore è un principio giuridico che permea lo stesso diritto minorile nazionale. Tra i vari diritti del minore c’è quello a crescere in un ambiente familiare valido, che gli permetta di strutturare la propria personalità in maniera adeguata, attraverso la costruzione di un rapporto relazionale stabile. Il minore ha, quindi, diritto a ricevere un’adeguata assistenza morale e materiale: ad essere cresciuto, sostenuto e istruito nel corso della sua vita, in linea con le sue peculiari capacità e aspirazioni.

Nel contemperamento degli interessi in gioco, quindi, quello del minore prevale su quello di chiunque altro. La stessa potestà genitoriale è da intendersi sì come un diritto, riconosciuto al genitore, ma altresì come un dovere che va esercitato nel solo interesse del figlio.

Detto questo è facile comprendere quali siano i principi cardine sui quali si instaura la legislazione minorile nazionale. In particolar modo la legge sulle adozioni (L. 184/83) che regolamenta tutte quelle azioni relative all’assistenza di un minore che si trovi senza adeguata rete di sostegno familiare.

Abbandono

A seguito delle ultime vicende di cronaca, il termine abbandono è stato fortemente contestato dall’opinione pubblica. Su ogni piattaforma digitale si chiedeva di eliminare, dalle testate giornalistiche, il concetto “abbandonato dalla madre” per utilizzare, impropriamente, il termine “affidato”.

Abbandono e affidamento non sono sinonimi

Nel comune sentire, infatti, il verbo "abbandonare" richiama alla mente un’azione immorale, che implica un “gettar via” un bambino “indesiderato”.

Si è cercato di mitigare la comunicazione sul tema parlando di affidamento, come se l’abbandono fosse un gesto pregno di significati malevoli e l’affidamento, invece, un’azione di vera tutela. Ma non è proprio così.

Abbandono e affidamento non sono sinonimi agli occhi della legge, ed è giusto parlare correttamente di abbandono in casi come questi. Senza alcuna accezione negativa.

Nella normativa vigente lo stato di abbandono, unito alla valutazione del suo miglior interesse, è la prerogativa grazie alla quale il minore può essere messo in condizione di adottabilità. Mentre, invece, l’affidamento è il passaggio intermedio tra abbandono e adozione.

Essere dichiarato “abbandonato” non è quindi un pregiudizio, ma il presupposto per poter procedere a un’adozione piena.

In cosa consiste, quindi, lo stato di abbandono?

Stato di abbandono

Il legislatore non definisce chiaramente lo stato di abbandono, limitandosi a collegarlo alla mancanza di “adeguata assistenza morale e materiale”.

La condizione di abbandono esiste in due casi:

  • quando non vi sia alcuna famiglia d’origine, ovvero quando il bambino sia orfano, privo di parenti o figlio di ignoti
  • quando una famiglia esista, ma non sia disposta o in grado di adempiere ai propri obblighi nei confronti del minore.

Nel primo caso l’accertamento dello stato di abbandono risulta, sicuramente, più semplice e non richiede ulteriori indagini da parte del Tribunale. Nel secondo caso, invece, la faccenda può diventare molto delicata.

Va considerato che, nel caso in cui una famiglia esista, l’orientamento giurisprudenziale dà carattere prioritario al diritto del minore di crescere nel suo nucleo di origine. L’eventuale mancanza di assistenza morale e materiale, quindi, andrà accertata attraverso approfondite indagini da parte del Tribunale per i minorenni.

La mancata assistenza dovrà essere accertata come irrecuperabile e irreversibile; tale da compromettere, in maniera permanente, un armonico sviluppo psico-fisico del bambino.

Questa condizione di inadeguatezza, per poter determinare “lo stato di abbandono”, non dovrà avere carattere transitorio né dipendere da cause di forza maggiore (come accade ad esempio nel caso di una patologia, se reversibile, o una condizione di temporanea di disoccupazione o assenza di abitazione).

Indagini sullo stato di abbandono

Nel caso di una famiglia esistente si procede, quindi, con molta cautela alla dichiarazione di abbandono e successiva adottabilità del minore. La semplice inadeguatezza dei genitori biologici non potrà esserne elemento fondante, ma è necessario che questa diventi pregiudizievole per i diritti del bambino in questione.

A fronte di una segnalazione, il Tribunale per i minorenni procede quindi alle relative indagini. Ma chi segnala il possibile stato di abbandono di un minore?

In teoria chiunque può procedere a un avviso di questo tipo, qualora ne ravvisi le condizioni o ne abbia avuto contezza.

L’obbligo, però, di segnalare è in capo unicamente a:

  • pubblici ufficiali
  • incaricati di pubblico servizio
  • esercenti di un servizio di pubblica utilità.

Le indagini del Tribunale si concentrano nel verificare l’effettiva condizione di abbandono del minore ma, al contempo, si attivano per dare tutela immediata al bambino che si trovi sprovvisto (anche temporaneamente) di adeguata assistenza. Il Tribunale può, quindi, disporre qualsiasi provvedimento necessario a tutelare gli interessi del minore, anche il collocamento temporaneo presso una famiglia (o una comunità).

Il Tribunale verifica tutte le condizioni, di fatto e di diritto, del caso e cerca di coinvolgere eventuali genitori o parenti esistenti. Stante il diritto del minore a vivere (quando possibile) con la sua famiglia d’origine, nel caso in cui questa esista si cerca di esperire qualsiasi mezzo per comprendere se la condizione di mancata assistenza sia davvero irrecuperabile e definitiva, prima di procedere alla dichiarazione di adottabilità.

Al fine di risanare una condizione potenzialmente recuperabile, il Tribunale può formulare prescrizioni (ossia regole e comportamenti da seguire) nei confronti dei parenti, per aiutare a risolvere un’impasse transitoria e garantire al bambino il giusto sostegno.

In questo caso verranno predisposti degli accertamenti periodici, per verificarne l’attuazione da parte dei parenti incaricati.

Adottabilità

Al termine delle indagini il Tribunale per i minorenni definisce lo stato di abbandono e dichiara, con sentenza, lo stato di adottabilità del minore quando:

  • genitori o parenti (entro il quarto grado) non si siano presentati senza giustificato motivo
  • l’audizione di questi abbia confermato la mancanza di adeguata assistenza morale e/o materiale del minore e vi sia totale indisponibilità a porvi rimedio
  • non siano state rispettate le prescrizioni volte a rimediare alla condizione di mancata assistenza
  • venga ritenuta irrecuperabile e persistente la condizione di mancanza di assistenza.

Definito tutto ciò, quindi, il minore viene dichiarato in stato di adottabilità e viene sospesa qualsiasi potestà genitoriale precedentemente esistente.

Affidamento preadottivo

La dichiarazione dello stato di adottabilità, ovviamente, non comporta che il minore venga immediatamente adottato da una nuova famiglia.

Il Tribunale sceglie una coppia, tra tutte quelle candidate e idonee al ruolo, e questa va valutata in merito per un adeguato periodo di tempo. Vanno indagate non solo le capacità genitoriali ma, anche, le stesse reazioni del minore inserito nel nuovo contesto familiare.

Il Tribunale decide, quindi, di attuare un periodo di monitoraggio: l’affidamento preadottivo.

Durante questa fase si svolge una vera e propria verifica, con la quale soppesare la situazione personale ed economica della coppia affidataria, l’ambiente familiare e i motivi per i quali si intende procedere all’adozione.

L’affidamento, erroneamente identificato con l’abbandono nel tentativo di utilizzare un termine meno crudo, è in realtà un trampolino di lancio per la nuova famiglia che si andrà a creare. Una fase di assestamento utile affinché il minore possa trovare un ambiente idoneo, nel quale ricevere l’assistenza cui ha diritto e che rispetti le sue esigenze.

La coppia viene scelta, infatti, in base alle peculiarità del singolo bambino. Non viceversa. Il suo “best interest” è la cartina tornasole per tutti gli operatori coinvolti.

famiglia e adozione

L’adozione non consiste nel “ottenere un figlio che non si è potuti avere in altro modo” quando nel “donare una nuova casa a un bambino che ne sia sprovvisto”. Una casa costruita sulle sue necessità e che gli garantisca un ambiente sano, sereno e amorevole.

Il minore stesso viene chiamato ad esprimere il proprio parere sull’affidamento (e successivamente sull’adozione), anche se di età inferiore ai 12 anni qualora il Tribunale lo ritenga necessario.

Se maggiore di quattordici anni, poi, il suo consenso espresso è determinate al completamento dell’intera procedura.

L’affidamento non è un modo alternativo per definire l’abbandono, ma un vero banco di prova per bambini e adulti coinvolti nella costruzione di un nuovo assetto familiare. Nel caso in cui Tribunale accerti la mancanza delle condizioni per un’idonea e serena convivenza, può essere anche revocato.

Adozione

Decorso il termine di un anno dall’affidamento (prorogabile su richiesta dei coniugi per un altro anno) il Tribunale si pronuncia con sentenza in merito all’adozione del minore.

Devono ricorrere, ovviamente, tutti i presupposti previsti dalla legge sull’adozione (L. 184/83):

  • dichiarazione dello stato di abbandono
  • idoneità dei coniugi ad adottare, ovvero che siano uniti in matrimonio da almeno 3 anni (meno se abbiano comunque convissuto per almeno 3 anni senza che sia intervenuta alcuna separazione, anche se di mero fatto)
  • l’età degli adottanti superi di almeno 18 e non più di 45 l’età dell’adottato (salvo deroghe in caso di pregiudizio per il minore).

Ovviamente deve essere stata comprovata, dal Tribunale, la capacità genitoriale della coppia affidataria e la loro idoneità nel mantenere, assistere ed educare il minore. Non deve, ovviamente, essere stato revocato lo stato di abbandono.

Gli effetti della sentenza di adozione sono pieni: il minore acquista lo status di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. I legami giuridici con la famiglia d’origine cessano completamente.

Adozione in casi particolari

Abbiamo visto come l’abbandono sia presupposto necessario per procedere a un’adozione piena e legittimante.Esistono però ipotesi in cui questo non è necessario: si tratta dell’adozione in casi particolari, così come disciplinata dall’art. 44 della legge 184/83.

In queste ipotesi “particolari” rientra anche la rinomata stepchild adoption e sono caratterizzate dalla necessità che i genitori, o genitore, del minore (se in grado di farlo) esprimano il proprio consenso alla procedura.

La peculiarità dell’adozione in casi particolari risiede nel fatto che il minore non deve essere precedentemente dichiarato in stato di abbandono. I legami giuridici con la famiglia di origine, quindi, non decadono con la sentenza di adozione ma permangono.

Gli adottanti non acquistano alcun diritto su eventuali beni del minore, mentre questi viene equiparato ai figli legittimi anche sul fronte ereditario.

A differenza, poi, dell’adozione ordinaria quella in casi particolari non è “piena” e può essere revocata.

A fronte della sua particolarità, la legge prevede tassativamente i casi nei quali sia possibile ricorrere a questa forma di adozione:

  • persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da un rapporto stabile e duraturo, maturato anche nell’ambito di un periodo di affidamento qualora il minore sia orfano di madre e padre
  • il coniuge, nel caso in cui il minore sia figlio (anche adottivo) dell’altro coniuge (stepchild adoption)
  • minori che presentino una minorazione fisica, psichica o sensoriale tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione
  • constata impossibilità di affidamento preadottivo.

Tutti questi casi, tranne la stepchild adoption, sono poi consentiti anche a chi non sia coniugato.

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