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5 Marzo 2024
14:22

Bimba di 10 anni a scuola con il velo integrale, la maestra glielo fa togliere. Gesto legittimo o discriminatorio?

A Pordenone una bimba di 10 anni si è presentata a scuola con niqab, un velo integrale che le scopriva solo gli occhi. La maestra glielo ha fatto togliere, ma cosa dice la legge italiana nel contrasto tra imposizione di un dress code da parte della scuola e diritto dei bambini a manifestare il proprio credo?

A cura di Sophia Crotti
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Bimba di 10 anni a scuola con il velo integrale, la maestra glielo fa togliere. Gesto legittimo o discriminatorio?
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Una bimba di 10 anni si è presentata in classe a Pordenone indossando il niqab, il tradizionale velo islamico che copre il corpo e il volto delle donne, lasciandone fuori solamente gli occhi.

La maestra risentita le ha chiesto di andare in bagno e scoprirsi il volto e l’indomani di presentarsi a scuola vestita diversamente. I genitori della bimba hanno compreso la situazione, decidendo di lasciare correre, e il giorno dopo la bimba sia è presentata in classe con il velo ma a volto scoperto.  Ma può un docente limitare la libertà di espressione religiosa e culturale di un’alunna?

La legge italiana n.152 del 22 maggio 1975  parla chiaro: “È vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. Il divieto si applica anche agli indumenti.

La scuola è a tutti gli effetti un luogo pubblico, dunque è importante che per la sicurezza del personale scolastico e di tutti gli alunni, tutti coloro che si muovono al suo interno siano sempre riconoscibili e a volto scoperto. Il testo di legge spiega anche che però il divieto decade se vi è un “giustificato motivo” che in questo caso sarebbe il diritto a manifestare liberamente il proprio credo.

La convenzione ONU dei diritti dei bambini e degli adolescenti, strumento normativo che regolamenta i diritti dei bambini, ribadisce all’articolo che gli Stati membri della convenzione ONU devono “rispettare il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, coscienza e religione” al comma 3, però, si specifica che questo diritto dei bambini a esprimere liberamente il proprio credo deve sempre assoggettarsi a delle limitazioni prescritte dal Paese in cui si trovano, che sono volte a tutelare la sicurezza, l’ordine e la moralità pubbliche.

Insomma se la piccola fosse stata un pericolo pubblico l’insegnante avrebbe avuto tutto il diritto di chiederle di scoprirsi il volto, ma vista l’immediata reazione positiva sua e dei genitori, il suo gesto è sembrato a tutti gli effetti la sola espressione della sua cultura, che forse al posto di vietarle a priori sarebbe stato il caso di farle spiegare o raccontare alla classe.

1 studente su 4 frequenta un istituto che, pur non imponendo una divisa ai propri alunni, vieta loro di indossare alcuni indumenti

Un altro elemento che va indagato è la possibilità di imporre, o meno, un dress code nelle scuole. Sono all’ordine del giorno notizie di unghie troppo lunghe che inducono gli insegnanti di educazione fisica a esonerare le alunne dall’attività sportiva, jeans strappati ricuciti dai professori con lo scotch, pance scoperte o gonne troppo corte che costano dei punti in meno nel rendimento scolastico. Non esiste, però, in Italia una legge che permetta ai professori di decidere per il vestiario dei propri alunni, ma esiste la possibilità, attraverso una circolare firmata dalla presidenza, di bandire certe abitudini o capi di abbigliamento in nome del decoro dell’ambiente scolastico. Un sondaggio di Skuola.net ha infatti evidenziato che 1 studente su 4 frequenta un istituto che, pur non imponendo una divisa ai propri alunni vieta loro di indossare alcuni indumenti, nel 30% dei casi in maniera implicita.

Il caso della bimba di Pordenone ha dato vita, però, a diversi interventi politici, la sindaca di Monfalcone in provincia di Gorizia, Anna Maria Cisint si è espressa parlando del rischio di islamizzazione “Il velo integrale va contrastato per ragioni di dignità umana e di sicurezza” ha spiegato in un comunicato stampa, parlando dei fatti della vicina Pordenone. La Lega si sta muovendo per imporre il divieto del velo integrale nelle scuole, per ragioni di sicurezza. La segretaria regionale del Pd del Friuli Venezia Giulia, Caterina Conti, anche insegnante, ha spostato la questione sui diritti delle donne, spiegando che a suo parere il velo è il simbolo della sottomissione della figura femminile alla potestà degli uomini e che per questo non va lasciato indossare.

La comunità Islamica di Pordenone si è detta stranita dall’accaduto ricordando che le donne praticanti che decidono di indossare il niqab lo possono fare quando sono più grandi: «Usare il velo, in generale, non soltanto a scuola, per una bimba così piccola, è forse frutto di un errore di interpretazione dei genitori».

A dirsi contraria alla decisione dell’insegnante, in mancanza di una normativa che vieti a tutti gli effetti nelle scuole di entrare a volto velato, a differenza di quanto accade in Germania, Francia ed Egitto, è stata la  direttrice generale dell’Usr Daniela Beltrame, che a Rai News ha ricordato che i bambini in classe non devono sentirsi in alcun modo discriminati o obbligati a fare qualcosa che non viene loro imposto dalla legge ma dalle decisioni personali di un’insegnante.

Il dialogo rimane aperto, nonostante la bimba abbia agito da subito seguendo le direttive della maestra e optando per un velo che le scoprisse il volto, chissà che magari l’accaduto non induca la scuola, prima di prendere decisioni avventate a far spiegare alla bimba stessa, perché e se, per lei il niqab è una scelta e non un’imposizione. Sarebbe una lezione di interculturalità imperdibile.

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Sophia Crotti
Redattrice
Credo nella bontà e nella debolezza, ho imparato a indagare per cogliere sempre la verità. Mi piace il rosa, la musica italiana e ridere di gusto anche se mi commuove tutto. Amo scrivere da quando sono piccola e non ho mai smesso, tra i banchi di Lettere prima e tra quelli di Editoria e Giornalismo, poi. Conservo gelosamente i miei occhi da bambina, che indosso mentre scrivo fiduciosa che un giorno tutte le famiglie avranno gli stessi diritti, perché solo l’amore (e concedersi qualche errore) è l’ingrediente fondamentale per essere dei buoni genitori.
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