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1 Giugno 2023
14:00

Divorzio: come funziona l’assegno di mantenimento

Tra assegno di mantenimento e assegno divorzile si fa spesso confusione, ma in effetti la giurisprudenza aiuta a comprendere meglio. Con la sentenza Grilli del 2017 la legge ha previsto delle regole diverse per giustificare questa richiesta da parte di uno dei coniugi. Il discorso però cambia in presenza di figli.

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Divorzio: come funziona l’assegno di mantenimento
Divorzio assegno mantenimento

In Italia, vige ancora confusione in merito al cosiddetto assegno di mantenimento che, dopo il divorzio, si definisce assegno divorzile. La sentenza della Corte di Cassazione n. 11504 del maggio 2017, ha puntualizzato una serie di nuovi parametri per stabilire le quote erogabili al coniuge economicamente più debole.

In passato, di fatto, l’assegno di mantenimento era basato su un principio basico, quello di garantire al coniuge col reddito più basso o senza reddito, di esercitare lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio. Al contrario, dopo la sentenza della Cassazione, il contributo all’ex va stabilito in base alla sua indipendenza e autosufficienza economica.

In poche parole, la disparità di reddito tra gli ex influisce poco: se il coniuge lavora in modo non precario, ha immobili di proprietà e percepisce altri redditi, il giudice può negare il mantenimento. Di contro, se il soggetto in questione non è economicamente sufficiente e ha rinunciato alle proprie aspirazioni professionali per dedicarsi alla famiglia, ha invece diritto a tale assegno.

Un piccolo appunto va fatto in presenza di figli nati dalla coppia, anche se non legata da vincolo matrimoniale. La giurisprudenza infatti tutela il benessere dei minori in ogni caso e l’assegno è dovuto in caso di separazione, divorzio o semplice cessazione della convivenza dei genitori, fino a quando il figlio non raggiunge la sua autosufficienza economica.

Assegno di mantenimento e figli

Una cosa importante da sapere è che nessun genitore può esonerarsi dal mantenimento del figlio, in proporzione al proprio reddito (d.lgs. 154/2013), neanche in caso di rinuncia all’assegno da parte di uno dei due. Questo in quanto è un diritto del figlio percepire quel contributo.

Di fatto, entrambi i genitori hanno l’obbligo di mantenimento dei figli, facendo in modo che questi abbiano il medesimo tenore di vita anche dopo la separazione o il divorzio. Il genitore che continua a vivere con la prole deve provvedere alle spese quotidiane, mentre l’altro versa mensilmente un assegno il cui importo è deciso dal giudice.

La collocazione dei figli è sempre il giudice a deciderla, se anche tenendo conto della loro volontà, in caso di ragazzi a partire dai 12 anni. In caso di manifesta inadeguatezza del genitore collocatario, o qualora fossero gli stessi figli a richiederlo, il tribunale può essere interpellato per una revisione.

Ad ogni modo, fino alla totale indipendenze economica dei figli, questi hanno il diritto a restare nella casa del genitore collocatario secondo la decisione del giudice. Ma l’altro genitore mantiene il diritto di visita ai figli, come anche gli stessi nonni dei ragazzi, che non perdono il diritto alla frequentazione dei nipoti.

Assegno divorzile: le condizioni generali

Il riferimento legislativo, prima della sentenza della Cassazione del 2017 di cui abbiamo parlato, resta l’art. 5 della Legge sul Divorzio del 1970. In questa si stabilisce che, in caso di scioglimento di vincolo matrimoniale, è possibile fissare un obbligo per uno dei coniugi, di versare una somma a favore dell’altro, se questo non ha i mezzi per vivere in modo decoroso.

Da quando la legge sul divorzio è stata redatta, anche confermata da altre sentenze della Cassazione durante gli anni ‘90, il criterio del su citato tenore di vita era una discriminante. In questo modo era facilmente riconoscibile chi fosse il coniuge debole tra i due, ma anche e soprattutto fissare gli importi del mantenimento.

Ma dopo che nel 2017 la Cassazione, con quella che è riconosciuta come sentenza Grilli, ha ribaltato la prospettiva, il tenore di vita ha smesso di essere il fine ultimo dell’assegno di mantenimento. Se anche temperata da una successiva sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 2019, la Grilli ha tuttavia posto dei paletti.

Ad oggi, il giudice decide se il coniuge merita l’assegno di mantenimento in base a severe procedure di accertamento, valutando le condizioni economiche e patrimoniali. Ma anche le condizioni personali del richiedente, quale età, stato di salute e capacità lavorativa, come le possibilità di tipo professionale.

Non è infatti inusuale che, soprattutto le mogli, abbiano sacrificato la propria attività lavorativa per prendersi cura di figli e famiglia. Se il distacco dal mondo del lavoro è stato protratto per molti anni, è possibile che la reintroduzione sia un processo difficile, cosa che giustificherebbe la richiesta.

Quando la moglie perde l’assegno divorzile

La su citata Legge sul Divorzio del 1970 fissa anche la cessazione dell’erogazione di un assegno divorzile, in caso di nuove nozze della beneficiaria di tale assegno. Di fatto, anche una convivenza stabile e duratura può essere origine di una cessazione del contributo economico.

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