video suggerito
video suggerito
5 Novembre 2023
9:00

La genitorialità è un amore che non conosce possesso: Elena, mamma di Lisa e Anna, ci racconta l’adozione

Elena Goretti è una giornalista e mamma di due bimbe, Lisa e Anna, provenienti da due luoghi che distano più di 9000 km l'uno dall'altro. Ci ha raccontato la sua esperienza, il suo iter adottivo, la difficoltà dell'attesa e l'importanza di utilizzare le parole giuste per compiere grandi rivoluzioni, come quella di non far più dipendere il fatto di essere mamma o papà dal solo aver generato un bimbo, quanto invece dall'aver scelto, saputo e voluto prendersene cura.

A cura di Sophia Crotti
Ti piace questo contenuto?
La genitorialità è un amore che non conosce possesso: Elena, mamma di Lisa e Anna, ci racconta l’adozione
Elena-Goretti-e-le-sue-figlie-2

Non tutte le donne sono chiamate a essere mamme, ma Elena Goretti sì. Pur non potendo generare naturalmente aveva scritto nella sua vita di diventare genitore tanto che questo è infine accaduto, nell’incontro con le sue figlie tramite l’adozione.

Elena è stata mamma in tanti modi, ogni volta che qualcuno dopo il termine "mamma" ha aggiunto per lei un aggettivo diverso, poche lettere in grado di riaprire voragini, soprattutto per chi come lei, fa la giornalista e il peso e l'importanza delle parole li conosce molto bene.

Elena è stata una “mamma nullipara” ogni volta che la ginecologa ha indicato nella sua scheda anagrafica la conseguenza naturale della sua infertilità, ovvero non aver potuto partorire le sue figlie.

Elena è stata una “mamma finta” ogni volta che qualcuno ha guardato sua figlia Lisa e le ha chiesto “Ma si sa chi sia la mamma vera”?

Elena si è sentita una “mamma sola” quando ha aspettato per 5 lunghissimi anni l’incontro con la sua seconda figlia, fino a diventare finalmente mamma bis quando è potuta partire con suo marito e sua figlia Lisa. per conoscerla a oltre 9000 km di distanza.

Elena è stata una "mamma sbagliata", quando ha rivelato che lei, le ragazze che hanno portato in grembo le sue figlie, protagoniste del racconto dell'adozione che lei fa loro quotidianamente, non se la sente proprio di chiamarle mamme.

Oggi Elena è mamma ogni volta che le sue bimbe la chiamano così, è mamma perché si prende cura di loro e le ama di un amore che mai pensava che avrebbe provato, quello che non conosce possesso. È anche una mamma adottiva, ma come lo sono tutte le mamme: «Se è vero che ci si sceglie e ci si innamora dei propri figli dopo che ci si è visti la prima volta, e non solo per aver generato quei bambini, allora dobbiamo prendere consapevolezza che ogni atto di maternità o paternità è un atto di adozione. Siamo tutti genitori adottivi».

Elena, raccontaci quando avete deciso di diventare una famiglia

Quando io e mio marito ci siamo sposati, avevamo entrambi nel cuore un forte desiderio di genitorialità, dopo poco però, abbiamo capito che non avremmo potuto costruire esattamente la famiglia che fino a quel momento ci eravamo immaginati, perché la natura ha voluto che non riuscissimo a generare naturalmente.

A questo punto si sono aperte davanti a noi due strade, i percorsi medico-sanitari o l'adozione. Se le visite mediche e i referti non facevano altro che metterci continuamente a confronto con la nostra infertilità, l'adozione ci ha da subito fatti sentire molto liberi. Noi non abbiamo fatto alcun tipo di tentativo tramite procreazione medicalmente assistita, perché solo l'idea di poterci rapportare nuovamente ad un possibile fallimento ci rendeva tristi e comportava momenti di crisi.

L'adozione ci ha da subito fatti sentire molto liberi.

L'adozione, invece, è stato per noi un percorso che da subito ci ha dato la speranza che, a prescindere da quanto sarebbe stata lunga l'attesa, alla fine la nostra disponibilità a diventare genitori avrebbe incontrato un bambino o una bambina in cerca di una famiglia. Sapevamo insomma che il nostro desiderio di genitorialità sarebbe stato portato a compimento.

Dunque ci siamo avvicinati all'adozione e fin da subito l'abbiamo trovata molto diversa da come ce l'aspettavamo, abbiamo dovuto confrontarci con il fatto che avremmo incontrato bimbi che avevano una ferita, a prescindere dal fatto che questa ferita fosse stata loro inferta nel momento iniziale della vita, durante la prima o la seconda infanzia. Abbiamo affrontato la parte delle indagini dei servizi sociali, delle domande ed è stata dura, anche se il percorso si è concluso con due incontri meravigliosi.

Come è stato l'incontro con le tue figlie?

La prima telefonata è arrivata all'improvviso dal tribunale, riempiendoci di gioia e meraviglia, Lisa, una bimba di soli 19 giorni ci attendeva in ospedale. La sua è stata un'adozione nazionale molto rapida, perché la donna che l'ha portata in grembo non l'ha riconosciuta alla nascita, dunque si sono attivate le pratiche dell'adottabilità e il Tribunale ci ha ritenuti adatti a lei, proponendoci l'abbinamento. Il giorno dopo il tutore legale è venuto a visitare la nostra casa, e quello dopo ancora eravamo la mamma e il papà di Lisa. Mi ricordo di essere entrata in ospedale, averla presa in braccio e l'emozione di diventare mamma e papà in appena un giorno non è descrivibile. È stato meraviglioso anche perché durante il percorso avevo elaborato un bambino immaginario (lo si forma in base ai corsi che si fanno, alle suggestioni avute) pensavo che sarebbe arrivato un bimbo tramite adozione internazionale o più grandicello. L'incontro con lei è stato proprio incredibile.

Elena e sua figlia

Quando Lisa aveva 4 anni, abbiamo pensato di essere pronti a riaffrontare questo percorso, che si è ripetuto esattamente nello stesso modo. Il fatto di essere già stati indagati dai servizi sociali, per esempio, non ha avuto alcun valore, neanche quello di essere stati scelti precedentemente dal Tribunale: abbiamo ripetuto tutto l'iter. Abbiamo deciso di optare per l'adozione internazionale, scegliendo come Paese di provenienza del bimbo o della bimba il Vietnam. Questa volta abbiamo sperimentato il lungo periodo dell'attesa. Se l'adozione nazionale per noi era stata molto rapida, non è stata altrettanto veloce quella internazionale, per la quale abbiamo atteso 5 anni. Quando poi eravamo davvero stanchi e stavamo per perdere le speranze, è arrivata la tanto attesa telefonata e siamo volati in Vietnam. Lì abbiamo conosciuto per la prima volta la nostra Anna.

Quali emozioni hai provato la prima volta che hai preso in braccio le tue bimbe?

Gratitudine, inadeguatezza, è qualcosa di immenso, la vita di un bambino che diventa il tuo bambino, è un incontro incredibile di strade, destini e percorsi. Ho provato un immenso senso di meraviglia e mi sono commossa.

L'inadeguatezza appartiene a tutti i genitori: è quel non sentirsi mai abbastanza davanti alla meraviglia di un figlio

Mi sono sentita anche inadeguata davanti alla bellezza, all'innocenza, alla preziosità di una storia, un percorso e un dolore per il quale bisogna avere grande rispetto. L'inadeguatezza secondo me appartiene a tutti i genitori, è quel non sentirsi mai abbastanza davanti a una meraviglia che si svela ogni giorno più grande di te.

Hai sempre sentito dentro di te questo desiderio di diventare mamma?

Sì, in particolare c'è stato un periodo in cui pensavo in maniera ricorrente all'esperienza della pancia, che avrei avuto piacere di provare. Oggi però, penso anche che non avrei voluto nessuno dentro quella pancia se non le mie figlie, quindi è un desiderio che nutro ancora ma solo ed esclusivamente per loro. In generale ho sempre pensato che tutto questo facesse parte della mia identità, anche se la natura ha deciso diversamente.

Cosa significa per una mamma che non ha generato ed è mamma a tutti gli effetti, essere definita "mamma nullipara"?

Diciamo che a volte si viene definite e guardate sulla base di aver o meno generato biologicamente, in un'idea di maternità per la quale il figlio è "proprio" e la mamma è "vera" solo se lo ha generato. Ancora oggi incontro chi mi dice "Sai qualcosa della mamma vera?" come se avessero davanti una mamma "finta".

Immagine

Questo accade secondo me un po' perché a livello popolare si pensa che il genitore adottivo sia una sorta di un "accompagnatore", invece non è affatto così. Oggi sempre di più, per fortuna, si sta diffondendo l'idea che si è genitori a prescindere dai legami di sangue, anche se a volte ci sono dei ritorni di retaggi antichi.

Che mamma ti senti?

Mi sento una mamma molto innamorata, perché l'esperienza di genitore adottivo mi permette ogni giorno di guardare all'evoluzione delle mie figlie con una meraviglia diversa da quella di un genitore biologico. Anche se non ne ho fatto esperienza, sono convinta che da un figlio biologico, anche dal punto di vista somatico, ci si aspetta una certa evoluzione fisica, perché ci si specchia tutti i giorni col proprio volto e con quello del bambino, al quale si sa di assomigliare.

Io mi innamoro ogni giorno delle mie figlie proprio perché sono diverse da me

Io invece mi innamoro ogni giorno delle mie figlie proprio perché sono diverse da me, per la loro individualità che emerge con caratteristiche sempre nuove. Credo che sia un'esperienza di figliolanza e genitorialità in cui più che mai riconosci l'altro individuo come diverso da te. Dovrebbe essere così sempre, in ogni rapporto genitore-figlio, invece è la nostra cultura italiana che ci dà sempre questa idea del grande possesso: "vorrei che diventassi", "in te rivedo me". La genitorialità adottiva invece ti fa fare esperienza dell'accompagnare un individuo che è altro da te, nella sua crescita, come dovrebbero essere sempre i figli.

Quali sono durante l'iter pre-adottivo, le cose più complesse da affrontare per la coppia?

Innanzitutto l'attesa, perché è un tempo vuoto, senza notizie, un tempo in cui non sembra cambiare mai niente se non il tuo desiderio di diventare genitore, che aumenta sempre di più e si scontra con un tunnel troppo buio e lungo perché si riesca a intravedere la luce in fondo. Ci siamo sentiti po' abbandonati, nonostante avessimo fatto tutto ciò che dovevamo, dal rispondere a tutte le domande, al prepararci ai bisogni del bambino che sarebbe potuto arrivare, all'offrire la disponibilità.

Elena-Goretti-e-le-sue-figlie

L'attesa è stata un'esperienza difficile anche perché 5 anni sono tanti. In 5 anni si diventa persone diverse, si è in un momento della vita diverso rispetto a quando si aveva fatto domanda, è difficile da gestire. Poi quando è finalmente arrivato il momento dell'incontro, tutto è sembrato cancellarsi in un attimo, la vita si è riempita e l'amore è stato immenso.

Quindi 5 anni di attesa sono troppi? O pensi possano essere un tempo giusto per l'iter pre-adottivo?

È troppo: è un tempo infinito. Da una parte è consolante il fatto che prima o poi il tuo desiderio di genitorialità si realizzerà: davanti alla tua infertilità hai una sentenza, l'adozione apre a un percorso, prima o poi e questa è una grande speranza e certezza quando il tribunale ha ritenuto che la tua coppia è idonea, il tuo percorso è stato validato quindi prima o poi arriva a compimento. Dall'altra parte però l'attesa è un tempo troppo lungo, anche rispetto alle disponibilità della coppia, c'è in gioco l'equilibrio della famiglia.

Hai raccontato fin da subito alle tue figlie l'adozione?

Sì, anche grazie all'aiuto dei servizi sociali, che in questo senso ci hanno aiutati a raccontare e impostare fin da subito il dialogo giusto, fatto delle parole giuste. Per entrambe le nostre figlie abbiamo creato due diversi racconti che sottoponiamo loro da quando sono molto piccole. Loro parlano con noi del loro passato e ci convivono. Durante la crescita il capitolo adozione si riapre più volte, con modalità e dialoghi diversi, anche con un accompagnamento diverso.

É mai capitato che le tue figlie ti chiedessero di conoscere la storia di chi le ha portate in grembo? Questa cosa ti spaventa?

Non mi spaventa, credo sia un diritto delle bimbe conoscere le loro origini. Per Anna, avendo noi fatto un'adozione internazionale è più complesso risalire ai dati, non c'è un tracciamento come in Italia. Si può suscitare il racconto e approfondire l'immaginazione rispetto al ragazzo e alla ragazza che hanno generato biologicamente le mie figlie, provando a immaginare quello che può essere accaduto, per Anna.

Elena e le sue figlie

Nel caso di Lisa ci sono dei termini di legge, lei non è stata riconosciuta alla nascita, ciò ha delle implicazioni, la madre biologica è coperta dall'anonimato, quello della famosa "legge dei 100 anni": è un modo per dire che si tutela solo il diritto della madre biologica per quanto riguarda l'anonimato. Questo non è corretto dal punto di vista della corte dei diritti umani, non può essere prevalente un diritto rispetto all'altro, anche il figlio ha il diritto di conoscere la propria identità, l'Italia sta riformando questo articolo che penalizzava i diritti dei figli. Oggi la prassi consiste nel valutare la reversibilità dell'anonimato, per cui mia figlia a 25 anni potrebbe richiedere al Tribunale di domandare alla donna che l'ha generata se è disponibile a revocare l'anonimato e a far sapere la sua identità, cosa che per i bambini adottati e riconosciuti è un diritto acquisito.

In generale ne parliamo, mi piace aiutarle a parlare di questa cosa, a convivere con questa curiosità, a sviscerare i loro desideri e domande. A volte è più facile, altre è complesso.

Come parli alle tue figlie delle due donne che le hanno portate in grembo?

Io sono stata molto attaccata per questo, ma faccio davvero fatica a chiamarla "mamma", per alcuni invece sembra sia necessario chiamarla madre.

Io fatico per due ordini di motivi, innanzitutto non volevo creare confusione nelle mie figlie, volevo che avessero in mente che sono la loro mamma e che la persona che le ha portate in grembo non ha svolto alcuna funzione materna, ha scelto di non essere mamma, non necessariamente l'atto biologico di riuscire a generare un figlio determina il fatto di essere madri. Questo nella società di oggi è ancora più vero, non è un gamete, non è nemmeno rimanere incinta che determina la volontà di diventare madre.

Elena-Goretti-e-le-sue-figlie

A me è sempre piaciuto attribuire il nome mamma a chi ama in maniera materna, sceglie di esserlo ed è chiamata a farlo. Ad un certo punto mia figlia più grande mi disse che desiderava dare un nome a questa donna, scrisse il nome scelto su un pezzo di carta e lo mise nel suo comodino, ha quindi inventato il nome di questa ragazza, quindi oggi quando la nominiamo lo facciamo con questo nome che lei ha inventato, così sembra più vicina. Non abbiamo alcun timore di nominarla o pensarla, a lei e a me piace pensarla, a prescindere dal fatto che sia o non sia madre, ma sia una persona che le ha dato la vita.

Oggi che sei mamma da un po' di anni, cosa pensi che le tue figlie abbiano portato nella tua vita?

Maturità. Mi hanno insegnato a diventare grande, ad essere responsabile, a non essere cioè più figlia, come accade a qualunque madre, diventando madre non puoi più essere figlia, devi prenderti cura di qualcun altro. Poi mi hanno portato l'esperienza dell'alterità, mi hanno fatto capire che un figlio è altro da me.

Ogni atto di maternità o paternità è un'adozione

Massimo Recalcati ha detto che ogni atto di maternità o paternità è un atto di adozione, perché in qualche modo ci si sceglie e ci si innamora dopo che ci si è visti, non solo per aver generato quel bambino, quando qualcuno è altro da te, allora dici "Voglio essere la tua mamma". Le mie figlie con le loro bellezze, caratteristiche e individualità, mi fanno fare esperienza della genitorialità piena, quella che non ha possesso.

Quali sono le parole che servirebbero oggi per raccontare le tante tipologie di famiglie?

Innanzitutto l'utilizzo del nome "madre", "padre" o "genitore", a prescindere dal generare, dal legame biologico. Andrebbe abolito il termine "vero", quindi mamma vera o papà vero, genitore vero: dal momento che non esiste "quello falso", non ha motivo di esistere questo aggettivo.

Elena e le sue figlie

In generale mi fa molta tristezza che da parte della categoria giornalistica, quando ci sono casi di ritrovamenti di bambini abbandonati o contesi, spesso non ci sia attenzione e competenza per raccontare i fatti, non c'è rispetto, non si conosce la prassi e neanche le parole giuste da utilizzare, tutto questo alimenta una cultura poco attenta o rispettosa di genitori e figli. Solo recentemente si sta iniziando a curare il linguaggio, in modo che sia inclusivo, rispetto a tante unicità, il cambiamento della comunicazione c'è, mi piacerebbe che appartenesse anche al mondo dell'adozione.

Chi è per te il genitore?

Genitore è chiunque si prende cura di un figlio, di un ragazzo, di un bambino, di una persona che effettivamente ha bisogno di una mamma o di un papà. Non è genitore colui che, pur avendo generato, non svolge alcun atto di cura, di protezione, di accompagnamento, ecco perché esiste la tutela dei minori ed ecco perché si può diventare genitori a prescindere dal fatto di aver o meno messo al mondo quel bambino.

Avatar utente
Sophia Crotti
Redattrice
Credo nella bontà e nella debolezza, ho imparato a indagare per cogliere sempre la verità. Mi piace il rosa, la musica italiana e ridere di gusto anche se mi commuove tutto. Amo scrivere da quando sono piccola e non ho mai smesso, tra i banchi di Lettere prima e tra quelli di Editoria e Giornalismo, poi. Conservo gelosamente i miei occhi da bambina, che indosso mentre scrivo fiduciosa che un giorno tutte le famiglie avranno gli stessi diritti, perché solo l’amore (e concedersi qualche errore) è l’ingrediente fondamentale per essere dei buoni genitori.
Sfondo autopromo
Famiglia significa NOI
api url views