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19 Marzo 2023
15:00

Paolo, papà separato che ha ottenuto l’affido dei figli. L’Associazione Padri Separati: «I papà sulla soglia di povertà. In tribunale non esistono»

Oggi è la Festa dedicata a tutti i papà, inclusi quelli separati, che nel nostro Paese incontrano delle difficoltà. Esiste un gender gap al contrario nel caso di separazione e divorzio? Secondo Tiziana Franchi, Presidente nazionale dell’Associazione Padri Separati, sì. In tanti casi la separazione ha ripercussioni negative sulle tasche dei papà e sul loro rapporto con i figli. Ma esiste anche chi, come Paolo, ha ottenuto l’affido dei minori.

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Paolo, papà separato che ha ottenuto l’affido dei figli. L’Associazione Padri Separati: «I papà sulla soglia di povertà. In tribunale non esistono»
papà separati

Nel nostro Paese i genitori separati non hanno vita facile. Se la legge è chiara e cristallina, la sua interpretazione e applicazione a volte risulta piuttosto torbida. Eppure, secondo gli ultimi dati Istat, il numero totale di separazioni e divorzi nel 2021 ha superato quello dei matrimoni. Un fenomeno, quello dello scioglimento delle unioni, che è tornato a crescere dopo il periodo di défaillance dovuto alla pandemia, e che, come da anni denunciano notiziari e mass media, in tanti casi penalizza particolarmente il genitore che esce di casa, di norma i papà. Tanti di loro, piegati dagli oneri dell’assegno di mantenimento e di un eventuale mutuo della casa coniugale da cui sono costretti a uscire, si ridurrebbero a dormire in macchina e a disporsi in fila indiana davanti alla Caritas per un piatto caldo. Per accompagnarli, sia dal punto di vista psicologico che legale, nel nostro Paese sono sbocciate decine di associazioni. Wamily ha incontrato la più antica d’Italia, l’Associazione Padri Separati, che, contro ogni aspettativa, da 12 anni ha una guida tutta al femminile: «I padri separati si rivolgono a noi quando sono in difficoltà perché non riescono a vedere i figli e a esercitare il ruolo paterno – ci ha spiegato la Presidente nazionale di Padri Separati, Tiziana Franchi – sono padri che vorrebbero fare i padri, ma a cui per vari motivi viene impedito». 

Uno di loro è Paolo, insegnante e papà di due figli, reduce da un calvario di separazione e divorzio durato dieci anni, che si è concluso nel 2019, grazie anche al supporto dell’Associazione bolognese che opera a livello nazionale. La storia del maestro Paolo ha una particolarità piuttosto singolare: è stato uno dei pochissimi papà separati d’Italia ad ottenere l’affido dei figli e la casa coniugale, con una sentenza che obbligava l’ex moglie a versare l’assegno di mantenimento. «Ho speso la mia vita per i miei figli, per far sì che potessero superare il dolore della separazione – racconta – non sono stato un “mammo”, mi fa orrore quella parola, ho semplicemente fatto il papà a pieno titolo. La separazione per me fu una ferita enorme, e all’inizio me ne vergognavo, perché noi apparentemente eravamo una famiglia perfetta».

La storia di Paolo, papà separato a tempo pieno

Era il 2009 quando, dopo 16 lunghi anni di matrimonio e due figli (all’epoca di 12 e 14 anni), iniziò la crisi coniugale fra Paolo e la moglie, che culminò con la richiesta di separazione di lei, a cui Paolo si oppose rifiutando la consensuale. «Mi sono opposto alla consensuale sapendo di essere destinato a perdere in partenza e consapevole della mia situazione precarissima. A prescindere dalle ragioni del papà, se sei la mamma sei favorita nella separazione».

Nel 2021 in Italia le separazioni sono state complessivamente 97.913, l’85,5% delle quali si è concluso consensualmente, una percentuale che è rimasta più o meno stabile nel corso dell’ultimo decennio. La separazione consensuale – dal latino consensus, “accordo” – prevede un accordo condiviso fra i due coniugi sulla spartizione dei beni in comune e sull’affidamento dei figli. Tuttavia, a volte la consensuale diventa una scelta obbligata, che lascia con l’amaro in bocca centinaia di genitori separati. «Cos’ha fatto la differenza nel mio caso? – continua Paolo – la mia forza è stata quella di rifiutare la consensuale, nonostante i legali tendano a consigliarla perché la giudiziale è devastante economicamente e psicologicamente. Tutto vero: la giudiziale è uno sfacelo a livello mentale ed economico, ma come potevo firmare una separazione consensuale quando consensuale non era? Non avevo niente da nascondere, e ho rischiato».

La separazione giudiziale è devastante economicamente e psicologicamente

Respinta l’opzione della separazione consensuale, la coppia, ormai ai ferri corti, intraprese la strada della giudiziale: in pratica uno dei due coniugi denuncia l’altro perché ritenuto colpevole, citandolo in giudizio. Nel caso di Paolo l’accusa ricevuta dalla moglie era di “padre irresponsabile e disinteressato alla famiglia”. «Caddi nella disperazione più assoluta, fino a quel momento per i miei figli ero stato presentissimo in tutti i modi, fu un dolore enorme che non potevo sopportare a livello psicologico per l’amore che ho sempre dimostrato per la famiglia e i figli, ed entrai in crisi – racconta Paolo – potrà sembrare ridicolo, ma mi vergognavo della separazione: apparentemente eravamo una famiglia perfetta per amici, parenti e conoscenti, non ne volevo parlare con nessuno, sarebbero caduti dalle nuvole».

Fu a quel punto che avvenne l’incontro con l’Associazione Padri Separati. «Fu un’amica a convincermi a telefonare all’Associazione, che io conoscevo solo di nome. Al telefono mi rispose, inaspettatamente, una donna, la Presidente, che mi spiegò l’iter: ci sarebbe stato un primo colloquio con la psicoterapeuta dell’Associazione, dopodiché mi avrebbero assistito e accompagnato dal punto di vista legale. In quel momento stavo subendo una separazione che non volevo, sapevo che di lì a poco sarei potuto essere fuori di casa, sbattuto su un marciapiede, con uno stipendio da professore, avrei buttato giù il telefono… Ma mi feci forza e presi appuntamento. Era l’estate del 2010».

All'inizio la separazione è vissuta come un lutto

Qual è l’identikit dei papà che bussano alla porta dell’Associazione? In genere, sono uomini reduci di una separazione non voluta, spaesati e disinformati, abbandonati dagli amici e perfino dalla famiglia, che chiedono un sostegno psicologico e legale. «Come Associazione – spiega la Presidente Franchi – cerchiamo di impostare la migliore separazione possibile, con diritti di visita più umani possibili, e con un supporto psicologico che rafforzi mentalmente i papà, perché all’inizio la separazione è vissuta come un lutto. In più, tendono a essere isolati da amici e parenti, sono soli e disinformati sull’iter da seguire, quando arrivano da noi pensano di spiegare le loro ragioni al giudice, quando non è così».

Nei mesi più torridi del 2010 Paolo iniziò il suo percorso di terapia presso l’Associazione. «La psicoterapeuta, la dott.ssa Chiara Soverini, fa di tutto per risollevare le sorti di quegli uomini disperati, afflitti da un dolore grandissimo. Possiede una grande dote: riesce a intersecare un'alta professionalità con una profonda umanità, mettendo generosamente a disposizione dei padri un'esperienza pluriennale nel campo delle dinamiche familiari. Andavo a colloquio spessissimo dalla dottoressa Soverini, mi tranquillizzava, e col tempo ho capito che la sua finalità era di salvare, oltre a me, soprattutto i miei figli, per far sì che non fossero usati come armi da noi genitori, perché nella separazione giudiziale quello che succede quasi inevitabilmente è che gli ex coniugi usino i figli per farsi la guerra, che è la cosa più deprecabile che possa esistere».

La giudice che si occupò della separazione stabilì un’audizione con una psicoterapeuta interna al Tribunale (C.T.U.) per ascoltare i due figli. «Io ero disperato – continua Paolo – non volevo che i miei figli fossero coinvolti». Nella relazione finale la psicoterapeuta indicò la figura paterna come quella idonea e maggiormente protettiva per i figli e, a quel punto, la giudice emise il provvedimento provvisorio urgente, collocando con Paolo entrambi i figli e, di conseguenza, assegnandogli la casa coniugale e obbligando la madre a versare il mantenimento, con le spese straordinarie al 50%. Era solo l’inizio del processo di separazione, durato in totale più di 4 anni, che si concluse con la sentenza definitiva di separazione, con la vittoria legale di spese per il papà. Seguirono la richiesta di dichiarazione di nullità del matrimonio al Tribunale Ecclesiastico e, da ultimo, il divorzio, che culminò con un accordo finale fra le parti nel 2019, a più dieci anni di distanza dall’inizio della crisi di coppia.

Per i figli è come perdere un braccio

In mezzo alle separazioni e ai matrimoni, rimangono i figli, tirati da un genitore e dall’altro ai due capi della fune. «Ho sempre fatto in modo che i miei figli mantenessero i rapporti con la madre, mandandoli da lei nelle giornate stabilite – continua il professore – una volta chiesi alla psicoterapeuta che dolore potessero provare i figli per la separazione, e lei mi risposte: “è come se fosse amputato loro un braccio”. I miei figli ci hanno visti litigare tante volte perché era una situazione conflittuale, quello più grande alla fine ha vissuto il divorzio come una liberazione, ma il più piccolo, all’inizio meno consapevole, ha sofferto maggiormente dopo la separazione. Ho fatto di tutto per aiutarli a superare il dolore, ora la situazione tragica iniziale è finita e oggi sono due ragazzi maturi, cresciuti bene e risolti».

papàà separati

Affido, assegno di mantenimento, casa coniugale. «E il legame padre-figlio?»

Sullo scalino più alto del podio, dovrebbero esserci i figli, attori innocenti della diatriba genitoriale. Come recita la disposizione n. 54 dell’8 febbraio 2006, «in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi», in ottemperanza, ovviamente, alle decisioni del giudice. Ma a volte l’interpretazione, e l’applicazione, della legge sembrerebbe piuttosto controversa. «Sono tanti i casi in cui la mamma si oppone al diritto di visita del padre, o la ostacola – spiega la Presidente dell’Associazione – se non si dà la garanzia di un diritto di visita umano e continuo il legame padre-figlio rischia di venire danneggiato e spezzato. Ciò ha ripercussioni negative sull’educazione e sulla gestione dei figli, che si ritrovano con un genitore solo, e la parola famiglia non esiste più».

Il rischio è che la relazione fra il papà e il figlio ne esca compromessa

«Di per sé la legge del diritto di famiglia è abbastanza equa – commenta il professore Paolo – è l’interpretazione che ne consegue che è discutibile: è quasi sempre favorita la donna per il fatto di essere tale, anche se non è l’essere madre a rendere una madre “sufficientemente buona”, per dirla in termini psicologici. Persiste questa disparità di fondo fin da quando il divorzio è stato istituito, negli anni Settanta».

Oltre al problema relazionale, che è il più importante, oggi esiste un secondo nodo urgente, quello economico. «Assistiamo padri che nell’80% dei casi sono stati lasciati e sono costretti ad uscire dalla casa che hanno acquistato e per cui, per esempio, hanno un mutuo ancora attivo, che devono continuare a pagare – spiega la Presidente Franchi – in più, si trovano l’assegno per i figli, l’affitto della seconda casa in cui si devono trasferire, le spese della macchina per raggiungere il posto di lavoro… Banalmente, con uno stipendio di 1.200, 1.500 euro non arrivi a fine mese, e tantissimi papà separati finiscono a mangiare alla Caritas, le nuove forme di povertà sono queste. Si rivolgono a noi pure i padri che sono alla seconda separazione e vivono il nuovo fallimento come uno shock. L’altro giorno ha chiamato un papà che nella casa coniugale aveva la sede della sua ditta, ed è costretto comunque ad andarsene».

I padri che si rivolgono all'Associazione chiedono di essere ascoltati di più

«I padri chiedono semplicemente di essere ascoltati di più – continua Franchi – Il problema è che non viene effettuata una valutazione della coppia. I casi dovrebbero essere studiati uno per uno, analizzando a tavolino come procedere per quella specifica situazione, e invece il pacchetto figlio-casa-assegno è quasi sempre preconfezionato e destinato alla madre in automatico».

Una testimonianza, quella di Paolo, rara, che lui spera possa essere d’aiuto a quei «padri che rinunciano a lottare per vedere riconosciuti i propri diritti, che non sono mai fine a se stessi, ma hanno inevitabili ripercussioni sul rapporto padre-figlio».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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